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Scheda di archivio


Collocazione


Livello di descrizione

U. D. Manoscritto

Autore

Franca Brambilla Ageno

Titolo (incipit)

Morgante, Proverbi e modi di dire

Data Iniziale

1951

Data Finale

1955

Consistenza

250 cc.

Contenuto

Si tratta di una busta dell’Università di Manchester riutilizzata da Franca Ageno (si vede infatti scritto l’indirizzo della studiosa), riportante l’intestazione a lapis: “Curto, Fonti Morgante”. All’interno si distinguono due gruppi di carte, un gruppo di 49 schede numerate a lapis contenenti riferimenti al testo del Ciriffo Calvaneo (A) e un altro gruppo di 250 carte riguardanti le fonti del Morgante e alcuni elementi linguistici notevoli (B). Si descrivono qui di seguito alcune carte di particolare interesse:

c. 3 – B. Sanvisenti, Sul poema di Uggieri il Danese, Torino, 1900.
p. 185-186. L’Orlando sarebbe posteriore al Danese
p. 191-196 – Il Danese e la Spagna contengono l’episodio del diavolo che porta degli uomini; il Danese sarebbe la fonte più diretta del Morgante.
c. 6 – Morgante, Interpunzione
XXVIII f. 7 e credo ancor forse, Carlo gli creda (Volpi e Weston)
“Gano si illude ancora che, forse, Carlo gli crederebbe.” Senso e ritmo vogliono la virgola prima e non dopo di “forse”. […]
c. 7 – Morgante, Interpunzione
XXVIII 33 Ma l’autore, disopra, ov’io mi specchio. Così il Weston. Il Volpi (e il Fatini): Ma lo aütor di sopra. L ha: Ma lauctore. La virgola va tolta: si tratta di Arnaldo, di cui si parla nella st. 26, v. 1.
V 62, 3-4 Punto interrograt. dopo strada: “Avresti tu creduto mai che, ecc.?
c. 8 – XXVII 225.6, A randa a randa (cfr. Dante Inf. XIV 12) vale: sull’orlo dell’orizzonte. Dal ted. Rand, che vale “orlo, margine”.
c. 13 – II 7, VII 27 Tutte le strade conducono a Roma, Per più strade si va a Roma.
c. 20 – III 41 giuoco della gatta (A. Luzio, R. Renier, “Mantova e Urbino”, 1893, p. 23).
c. 21 – III 45 Mangiare a Bertolotto (Minucci, “Note al Malm.”, VI 32; Pauli, “Modi di dire”, p. 175).
c. 22 – III 45, XI 89, Alla barla l’arai (Cfr. Rappr. Di S. Ant. in D’Ancona, “Sacre rapp.”, I, p. 10; Minucci, “Note al Malm.”, VI, 70).
c. 25 – III 59 Con un sol bue, Con un sol bue non si può far buon solco.
c. 26 – III 60 e 65, sentir le due campane (Cfr. Orl. VI 15, VI 20).
c. 27 – III 65, il solco vada ritto (Cfr. Orl. VI 14).
c. 29 – III 68, corbacchion al campanile; xvi 54, XXV 64, formica al sorbo; XVIII 174 star sodo al macchione; XXIII 20 andare a Bellosguardo (Varchi, Ercol. P. 180; S. Pauli, “Modi di dire, 671; Min. nota al Malm. II 77; Pico Luzi, “Modi di dire”, p. 36; Serdonati [cit. dal Curto, p. 98, senza indicaz.]; Firzzi, “Dizionarietto dei Frizzetti”, Città di Castello, 1890; Minucci, nota al Malm. X 56; Pauli, “Modi di dire”, p. 163.
c. 30 – III 71, VI 27 Tener l’invito del diciotto: non ritrarsi da un’impresa (Pico Luzi, “Modi di dire”, 288; Varchi, Ercol. 95 – ma in un altro senso). XI 87 Far diciotto con tre dadi: aver la maggior fortuna possibile (Malm. IX 2).
c. 32 – IV 10, Prov.: Non c’è male senza bene, D’un male nasce il bene.
c. 33 – IV 10, rimaner al verde. Dalle candele di sego, tinte di verde al piede (Min., Malm. XII 1; Pauli, “Modi di dire”, p. 95).
c. 34 – IV 33, XVI 113 pagar lo scotto = il fio (Cfr. Orl. XVII 31, XL 23).
c. 35 – IV 55 tener l’occhio al pennello (Cfr. Ciriffo Calvaneo, I 126, III 116; Per pennello anche Spagna CXXIII).
c. 36 – IV 55, VII 82 esser due impronti a un tagliere (Cfr. “Raccolta di prov. Tosc nuovam. Ampliata da quella di G. Giusti e pubblicata da Gino Capponi, Le Monnier, Firenze, 1871; Pico Luzi, “Modi di dire”, Roma, 1875, p. 736, 1036; Facezia 87 del Piovano Arlotto, ed. G. Bencini, Firenze, Salani, 1884.
c. 38 – IV 80, XIV 91, XXVII 19 Amor mal volentieri perdona ecc. (Cfr. Dante: “Chi vuol essere amato convien che ami”, “Ama chi t’ama, e chi non t’ama lascia”.
c. 39 – IV 88, Amore a tosse (amore, sonno e rogna) non si nascondono.
c. 40 – […] A buon intenditor poche parole (Cfr. “Proverbi” di A. Cornazzano in “Scelta di curios. letter.”, Bol., Rom., 1865, prov. III, p. 18; Volpi, “La D.C. nel Morg.”, p. 173.
c. 41 – V 40, Portare gli zoccoli per l’asciutto (Cfr. Dec., Giorn. X, nov 5).
c. 43 – VI 15, XI 100, XV 34 Dar l’ultimo asciolvere (Cfr. S. Pauli, “Modi di dire”, Ven., 1740, p. 126).
c. 44 – VI 17-18, La descrizione della bellezza di donna è un motivo antico della lirica popolare, cfr. il Contrasto della Bianca e della Bruna, d’anonimo quattrocentista, pubblicato dal Ferrari in GISLI VI, p. 352, sgg.
V. anche l’Orlando (pubbl. da I. Hübscher nelle Ausgaben u. Abhandlungen dello Stengel, LX, Marburgo, 1856, col tit.: “Orlando, die Vorlage zu Pulci’s Morgante”), X 4-6, e il rispetto 45 della prima raccolta degli Stramb. e Risp. pubblicata da A. Zenatti, Fir., 1894 e il risp. 30, v. 8, della seconda, e anche rispetti popolari citati dal Curto, pp. 13-14.
c. 45 – VI 19, far gli occhi del bavalischio (Cfr. un rispetto perugino in D’Ancona, “Poes. pop. it.”, Liv., 1906, p. 520, una canzonetta a ballo di Ser Giov. Fior. In Carducci, “Cantilene e ballate”, p. 146.
c. 46 – VI 19 maio, asino del pentolaio (S. Pauli, “Modi di dire”, Ven., 1740, p. 139; Pico Luzi, “Modi di dire”, Roma, 1875, 58, Giorn. Linguistico XIII, Gen., 1856, p. 51 sgg.; Poliziano Ball. XXV, Pico Luzi, 59).
c. 48 – VI 41, Can che abbaia poco morde, Can che morde non abbaia (Son. XLI dell’ediz. De Rossi e in una canzone del Pulci tratta da un cod. laurenz […]).
c. 59 – VII 46, Vassi la capra zoppa, se il lupo non l’intoppa (Giusti, Prov. pubbl. da G. Capponi, Le Monnier, Fir., 1871; Cfr. Orl. XVI 18, XIX 38, XLV 8).
c. 62 – VIII 28, il nocciolo arà tosto la pesca (Pico Luzi, “Modi di dire”, 57).
c. 70 – XI 9, Avere meno cervello di un’oca (Pico Luzi, “Modi di dire”, 177; Cammelli, son. 128 ed. Pèrcopo, Nap., 1908; Burchiello, son. 136).
c. 71 – XI 69.1, Fe’ per Parigi la cerca maggiore
La pena della fustigazione veniva applicata pubblicamente, facendo percorrere al reo, in cerchio, varie strade della città; ai condannati all’estremo supplizio si faceva fare (con o senza fustigazione, cfr. XI 112.2-4) un giro maggiore del solito, cioè la “cerca maggiore”. Cfr. XXVIII 13.1 e v. M. Barbi, “Con Dante e coi suoi interpreti”, Firenze, 1941, p. 116 sgg.)
c. 75 – […] XXVII 223, Prov.: Chi cerca rogna, rogna trova.
c. 76 – XIV 8, XXIV 34 Dio non paga il sabato (ma a otta e tempo).
c. 79 – XV 48, La mal’erba cresce presto.
c. 81 – XV 67 pascere di foglie e fiori (S. Pauli, “Modi di dire”, p. 205).
c. 85 – XVI 74, XXVII 10 cavar la muffa.
c. 87 – XV 95, trovar tra’l loglio (Pico Luzi, “Modi di dire”, 71; S. Pauli, “Modi dire”, 157; Minucci, “Note al Malm.”, XI, 25).
c. 101 – XVI 68, Prov. Non bisogna mettere l’esca accanto al fuoco.
c. 105 – XVII 105, Mangiar le chiappe di Gramolazzo (Pico Luzi, “Modi di dire”).
c. 106 – XVIII 39, Chi ha tempo non aspetti tempo (Cfr. Sacre Rappr., ed. D’Ancona, I 28; Malm. VII 17; Dante Inf. XXVIII 98.99).
c. 116 – XVIII 122, Tutti siam d’un pelo e d’una lana, Tutti siamo d’una pasta, Tutti siamo di carne.
c. 118 – XVIII 129, io aro. “Arare coll’asino e col bue” = “far quanto si può e si sa”, cfr. Pauli, “Modi di dire”, p. 146.
c. 120 – XVIII 138, Zara a chi tocca: nel giuoco della zara, che si faceva con tre dadi, si diceva “zara” quando usciva un numero inferiore al 7 o superiore al 14, […] “Peggio per colui a cui è toccata” [...].
c. 125 – XIX 7, Prov. I granchi voglion morder le balene (Pauli, “Modi di dire”, p. 270).
c. 127 – XIX 132 Berlingaccio […], Pasta intrisa con uova e arrostita, che nel fiorentino si preparava nelle famiglie modeste negli ultimi giorni di Carnevale. Anche una maschera, che avrà preso il nome dalla pasta o dal giovedì grasso e rappresentava appunto il giorno del Berlingaccio, cfr. Voc. della Crusca.
c. 131 – XX 40, Montar la mosca al naso (G. M. Cecchi, “Dichiaraz. di molti proverbi”, in “Proverbi toscani” di L. Fieschi, Mil., 1838; S. Pauli, “Modi di dire”, p. 110).
c. 133 – XX 91, Chi cerca briga l’accatta; Chi cerca rogna, rogna trova.
c. 135 – XXI 18, A far servizio non si perde, Piacere fatto non va perduto.
c. 136 – XXI 24, Orzo e paglia fanno caval da battaglia; Caval da paglia, caval da battaglia.
c. 138- XXI 60, Prov.: Chi cerca trova, Chi ha da fare non dorme, Chi dorme non piglia pesci.
c. 149 – XXII 91, Tanto va la gatta al lardo, che ci lascia lo zampino (Cfr. Orl. XVI 18, XIX 38, XLV 8).
c. 150 – XXV 95, Prov.: Gittar il ghiaccio tondo per: far cadere molti nel medesimo tranello. Cfr. Crusca.
c. 152 – XXII 121, Prov.: “Tal piglia un leone in assenza, che teme un topo in presenza”.
c. 159 – XXIV 5, XXIV 35, La volpe, o il lupo perde il pelo, ma non il vizio (Cfr. Orig. delli volgari prov. di Aloyse Cynthio Degli Fabritii, Ven., 1526, c. CXXVIII.
c. 160 – XXIV 9, Chi ben siede mal pensa.
c. 161 – XXIV 13, Con le pive nel sacco […].
c. 162 – XXIV 38, Le bugie han le gambe corte.
c. 164 – XXIV 51, Prov.: Chi s’adire ha il torto, Chi va in collera perde la scommessa.
c. 170 – XXIV 175, “Il tempo non viene mai per chi non l’aspetta”, “Il tempo viene per chi lo sa aspettare”, “Il tempo è buon amico” = l’occasione.
c. 177 – XXV 161, La fortuna aiuta gli audaci, opp. aiuta i matti e i fanciulli.
c. 180 – XXV 267, Chi non fa il nodo, perde il punto.
c. 181 – XXV 273, frate Ciullo Biondo
Esiste il proverbio: “Siamo al tempo di Ciollabate: chi ha da dare addimanda”, “che si usa quando altri fallando, non che scusarsene, incolpa colui contro al quale ha fallato” (Tomm.-Bell.). Ciollo degli Abati è nominato in una novella fra quelle del Gualteruzzi da Fano (Fir., Giunti, 1872, p. 17) e il proverbio è spiegato con questa novella dal Monosini, Flor. it. Linguae, p. 252, e S. Pauli, “Modi di dire tosc. Spiegati nella loro orig.”, Ven., 1740, p. 307. Nella Libreria del Doni, Ven. 1577, p. 25 è detto aut. di un libro: “Il giornale de’ debitori et creditori”. Ma Ciullo = astuto.
c. 182 – XXV 332, Numerar le mosche in Puglia (Cfr. XXV 69).
c. 187 – XXVII 114, A tavola non si invecchia, Poco vive chi troppo sparecchia.
c. 188 – XXVII 114, Noi non siam di maggio (Cfr. Pauli, “Modi di dire”, p. 51; Varchi, “Ercol.”, p. 187 – di maggio ragghiano gli asini).
c. 211 – III 48,1 (Cfr. XXV 12,6) Il Dizionario Etimologico Italiano di C. Battaglia e G. Alessio, alla voce albanese, dice che a Rodi Garganico è in uso “scialbanese”, detto di chi parla senza farsi capire.
c. 213 – Berlingaccio, Cl. Merlo, “I nomi romanzi del Carnevale”, in «Wörter u. Sachen», III, 1911, p. 131.
“Che berlingaccio derivi da berlingare «ciarlare, cinguettare» è inverosimile per la ragione che derivati in –accio da temi verbali mancano al toscano, come in genere alle lingue romanze. Entrambe le voci muovono verisimilm. Da un berlengo, di cui è facile appurare l’origine prima. L’antico berlengo diceva, com’è noto, «tavola, luogo da mangiare» (Significato che ha pur sempre il parm. Berlengo, voce gergale), l’imol. Berlengh, bol. Burleîngh dice, oltre che «berlingaccio», una sorta di «torta». Il tosc. Berlingozzo diceva una sorta di «ciambella a spicchi fatta di farina intrisa con l’uova»; il parm. Berlingot dice quel che il senese mosciàrelle «castagne bislessate, una specie di vecchioni ». Furlengacce (da verlong con u dalla cons. labiale e rafforzam. Del v.) chiamano anche oggi nel teramano «quel convito o scorpacciata che si fa alla fine della mietitura e trebbiatura… (Sav.)». Lo stesso berlingare è «ciarlare», come suol fare colui che è bene pransus et potus (cfr. Varchi, Ercol., 82-83)… Concludendo, berlingaccio sembra voler dire «giorno della tavola, dei dolci da gozzoviglia», fors’anche «giorno dei berlingozzi o di altro dolciume». Il Diez […] dà l’etimol. dal ant. a. ted. ‘prezilinc’. Dal significato di «ciarlare» pare muova invece il Doutrepont […].
c. 217 – XXVIII 1, 3-4
Metto fra le virgole le parole: non maturo, riferendole a frutto: “poiché, quando non è giunto il tempo (della maturità), il frutto, non essendo maturo, riesce sgradevole: così riesce sgradevole un’opera non condotta al suo fine”.
c. 226 – XXVIII 9, 7-8
chi per la gola alle volte lo ciuffa / tanto che il cacio gli saprà di muffa
“tanto stringe che quello non potrà più ingoiare e sembrerà rifiutare il cibo per trovarlo cattivo”.
c. 235 – XXVIII 2.5 ch’io me n’andrò con l’una e l’altra volta
È termine marittimo. Nel Tomm.-Bell.: “Stare sulle volte è Trattenere quanto più si può il vascello, acciocché si discosti quanto meno sia possibile dal diritto cammino; il che si fa indirizzandolo ora per un vento, ed ora per un altro”, da Daniello Bartoli, “Dei simboli trasportati al morale (in Op., Ven., 1716), p. 265: “…alle navi, che stan sulle volte, perché bordeggiano contro vento”. Tenere sulle volte. Detto del vento, quando costringe i marinai a bordeggiare.
c. 241 – XXVII 71.3 fece alto leva, locuz. ellittica, “Fece ad alta voce: ‘Leva Leva’, cioè ‘fuggi fuggi’”: “Fece un fuggi fuggi, scappò a gambe levate”.

Nomi

Franca Ageno
B. Sanvisenti
Carlo Magno
Volpi
Weston
Giuseppe Fatini
Dante
A. Luzio
R. Renier
Minucci
Pauli
Minucci
Varchi
Pico Luzi
Serdonati
Firzi
G. Giusti
Gino Capponi
A. Cornazzano
Ferrari
I. Hübscher
Marburgo
A. Zenatti
D’Ancona
Carducci
S. Pauli
Poliziano
De Rossi
Luigi Pulci
Cammelli
M. Barbi
G. M. Cecchi
Monosini
C. Battaglia
G. Alessio
Cl. Merlo
Diez
Doutrepont
Daniello Bartoli

Luoghi

Manchester
Roma
Mantova
Urbino
Firenze
Rodi Garganico

Ordinamento

Le carte sono numerate a lapis da 1 a 250.

Scheda a cura di

Caterina Canneti

Revisione a cura di

Elisabetta Benucci