archivio digitale della Crusca
  • archivio della crusca

Scheda di archivio


Collocazione


Livello di descrizione

U. D. Manoscritto

Autore

Franca Brambilla Ageno

Titolo (incipit)

"Schede con lessico dalla frottola 'La lingua nova' "

Data Iniziale

ante 1952

Data Finale

1952

Consistenza

383 cc.

Contenuto

Si descrivono qui di seguito alcune schede significative riguardanti il lessico e i modi di dire della Frottola di lingua nova, presenti nel documento 18B del fascicolo Sacchetti I:

c. 45 – cresta, andar con alta – v. 181 – Cecchi, Esalt. Cr. II 2. “Questi tamburelli per la città fan che gli spadaccini /alzan tutti la cresta”. Varchi, Suoc. III 5: “Io dirò’l vero: poi che voi avete poco di roba di più, voi avete alzato la cresta, e fece molto del grande”. Dav., Tac. Ann. V 123: “Trovati i capi, rizzaron le creste”. Malm. XI 10, “così scacciata abbasserà la cresta, / in veder che de’ suoi non campa testa”. Post. S. Gir. 74: “Altri, fatto sopracciglio e cresta, tritando le grandi parole, o pensando e borbottando, intra le femminucce filosofano delle sante scritture”.

c. 46 – palo: andare di palo in passo, v. 67. Saltare, essere, passare di palo in frasca, vale «passare d’uno in altro ragionamento, senz’ordine né proposito». Cecchi, Esalt. Cr. V 1: «Salta pur ben di palo in frasca, ne’ dovrei esser proverbiato». Fir. Trin. II 5: «Oh ve’ come e’ salta di palo in frasca! I’ ne disgrazio un grillo». Pataff. I 6: “E spalancato gli è di palo in passo (spalancato vale «passato»; la lez. dell’ediz.: il passo è errato).

c. 47 – tangheri, andar di – v. 296 – REW 8560 nega le etimol. francone tangr “sveglio, vispo”, da cui franc. a. tangre “impaziente”, “avido”, proposta dal Salvioni, Rend. Ist. Lomb. XLIX 1063, e quella dal cimr. dengyn, “contadino”, Thurneysen 112. Prontuario: Etimo incerto.

c. 48 – aver la testa scema, v. 204 – Anche mod., Cfr.: esser scemo come la luna e sim.

c. 49 – guidaresco, aver marcio il – v. 53 – Long. Widarrist, R. I. L. XLIX 1043, REW 9530. «piaga di sbucciatura dei cavalli», Cresc. Vlg; «incomodo di salute», Caro. Qui fig.: «essere irritato, serbar rancore»?

c. 50 – monte Morello, darsi in testa di – v. 185 – Pataff. V 82: E dammi in testa di monte Morello. Ercol. 102: D’uno che fa i castellucci in aria, s’usa: egli si becca il cervello, o si dà di monte Morello nel capo.

c. 51 – cestone, far d’un cestone una paniera, v. 381 - «mettere in ordine tante cose disparate», modo proverb.

c. 54 – incappiare il nodo, vv. 191-192 – Inf. X, “Solvetemi quel nodo, / che ha qui avviluppata mia sentenza”. Par. VII, “Ma i’ vegg’or la tua mente ristretta / di pensiero in pensier dentro ad un nodo / del qual con gran disio solver s’aspetta”. Pucci, Guerr. Pis. IV 19: “E trovò nell’entrar sì duro il nodo, / che non gli parve da scioglier per fretta”. Bellinc. Son., “Ma ben vorrei che tu mi aprissi un nodo”. Gal. Cap. tog. 178, “E scioglie il nodo alla nostra quistione”.

c. 56 – non esser sera a Prato, vv. 292-293 – Pataff. IV 67. «Ma non è fatto sera a Prato», Pico Luzi, n. 611. Essendo Prato in cima a un colle, il sole la illumina ancora quando tutt’intorno è già buio: figuratam. l’espress. significa: «le cose possono andare differentemente».

c. 68 – Mingarda, v. 334 – Mingo è diminuì. di Domenico. –ardo è suff. con significato dispregiativo, come in bastardo, vecchiardo, beffardo, testardo; e cfr. anche codardo, che ha suffisso dal francone, ma può avere influito sulla serie dei termini spregiativi.

c. 69 – mone Cembaline, v. 304. Cfr. andare in cimberli: «fare il matto, vaneggiare», origin. «mostrare allegria smaodata» per copiose libagioni, anche «sonar le nàcchere».

c. 70 – Cincipote, mona – v. 321 – Cincia, cinciallegra, cincipotola è la cingallegra. «In cingallegra risuona il cing cing di cinguettare», Prati. Mona Cincipote è quindi una comare chiacchierona […].

c. 74 – Zambracca, v. 333 – Fiera I II 2: «Ma di quai ve ne son, ch’han si ritrosa / la fede verso ‘l medico, ch’occulti / chiamati i cerretani e le zambracche…». Prati: Per disprezzo, dal secondo significato [di zambra: cesso] forse venne zambracca, «femmina di mondo o vile (Bocc., Med., Grazz.; (spreg.) cameriera (Buon. Il G.) ». Zambracca è anche del nap. e zambracca del vic., mentre il venez. à salambraca «cimbraccola». Cimbràccola o cirimbraccola (tosc. volg.) «donna sciatta e bècera» deriva da cimbràccole, «panni di poco valore», cimbràccolo «ciondolo, straccio» […].

c. 76 – Codarda, v. 336 – “codardo, vile, poltrone”, a. fr. couard, con la coda bassa, detto del falco cacciatore.

c. 83 – Scoccofisso, v. 346 – Da avvicinare a coccoveggia, lucch. Coccoméggia, «cuculo» e «uomo balordo»?

c. 87 – Trugia, v. 42 – La stessa cosa che trucia (tosc.), truscia (lucch.), «miseria che si mostra agli abiti rifiniti», collegato con strusciare: forme imitative (Prati). Pataff. V. 96: «L’amata in cuffia e la Truccia in berretta».

c. 88 – Stibbio, v. 115 – Pare fosse considerato il paese degli allocchi, Libro LXXXI 15: “E non guardate ch’ei vegna da Stibbio”.

c. 97 – cencio, raggruzzolarsi sul – vv. 261-262. Raccolta: Fare il cencio: «non reggersi più in piedi, venir meno».

c. 98 – berta, v. 70 – Lo stesso che bertesca, torretta con feritoie nei luoghi più alti delle fortificazioni. Qui è attirato da Berta, nome proprio, e usato figuratamente.

c. 105 – abbagliare, v. 325 – Prati: da balliare per ballare, esprimente il tremolio della luce. DEI: dal lat. Vlg. Balius, attestato come n. pr., gr. Baliós macchiettato di bianco e di nero, forma macedone corrispondente a phaliós, splendente, bianco.

c. 110 – aia, a l’ – v. 96 – Dec. VIII 2: «e tutto il dì andava aiato». Tosc. ed emil. mod.: andare aione, «andare a zonzo»; Umbro mod.: gìaione: «girar (la testa)». Ercol, p. 68: «andare a zonzo o vero aione, o vero aiato, garabullando, zazzeando, zazzeato, zaccone».

c. 111 – allucciare, v. 271. Allucciare o alluciare: “guardare intensamente con lo sguardo lucido dell’ubriaco”. Matt. Franz., vol. II delle Rime burlesche del Berni e d’altri, Fir., Giunti, 1555, II 189: “E’l vôto fiasco odori e dentro allucci”. Caix 390: Lucciolare, ‘piangere’. Caix 151: Alluciare, ‘guardare, mirare’. Il Caix escludeva l’etimo ags. Lokian, a. a. t. lôken, perché di solito la gutturale si conserva in it. REW 5190, Prati s. luce, lo fanno derivare direttam. da questa parola. Perché non dalla par. germ.+ luce?

c. 112 – lucceco, v. 310. Da confrontare con allucciare, e forse anche col pist. lucia “sbornia”, che di solito si fa derivare dal nome del lucio o tacchino.

c. 116 – berlingare, v. 307 – Libro LXXX 17-18: Così potess’io con voi migliacci are / per Berlingaccio a cena e desinare. Ercol., p. 64: lo definisce press’a poco “ciarlare dopo un lauto pasto”. Pataff. VII 132 “berlingatori”. C. Merlo, “I nomi romanzi del Carnevale” in «Studi glottologici», Pisa, 1924, pp. 131-132. Salv. Fiera I V 3: Berlingatore, ciac colone, ciarlatore, da berlingare… sbevazzare chiacchierando, onde Berlingaccio, Berlengo in furbesco, mensa. Prati, Voci, p. 22.

c. 117 – bieco, v. 309 – Indica il torcersi degli occhi dell’ubriaco. Il DEI lo fa derivare da oblaecus per oblicuius rifatto su aequus; ma il REW dice impossibile l’etimol., 6014.

c. 118 – bima, v. 235. Usato per indicare la bestia che non ha figliato; in tosc. la scrofa giovane.

c. 120 – bizzoco, v. 282 – La forma più antica è vizoco; ma l’etimo è sconosciuto, Prati. Lomb. Biziok, “insetto che punge”? REW 1118.

c. 122 – broncio, portare il - v. 55 – Deverb. Di (im)bronciare dall’a. fr. (em)bronchier formato su bronche “ceppo, cespuglio” e significante “incespicare”, “vacillare”. Ma il significato non soddisfa. Lo riporterei piuttosto col francico hiunksia, “ruga”, da cui ant. scandin. Hrukka, fr. a. fronce “ruga”, froncer. Tancia III 11: «Non ch’altro a veder fargli sol quel broncio / par che tutto pel dosso mi riscuota».

c. 123 – brullo, c. 367 – Da brullare, render come la brulla o guinco: «spoglio», qui fig. «solo, senza nulla», DEI. Il Prati dice che è difficile che abbia relaz. col venez. brula «guinco». Pataff. I 11: «brollo biotto egli è, brullo e caluco». Burch., son. Qua è dì chiaro alle sei ore e mezzo, vv. 12-13: «E questi lo battezzano alla greca, / tuffandolo in un fonte nudo e brullo».

c. 124 – buscinare, v. 283 – Sembra falsa la distinz. Dell’Ercol. p. 38: “Si dee scrivere con un c solo, e non con due perché allora sarebbe il verbo latino buccinare, che significa tutto il contrario, cioè strombettare, e dirlo su pe’ canti ancora chi ascoltarlo non vuole”.

c. 129 – sergozzone, v. 48 – Tommaseo-Bellini: “Colpo che si dà nella gola a man chiusa all’insù”. Pataff. I 3: “Punzone e sergozzone e la recchiata”. Dec., VIII 2: “Fo boto a Cristo che mi vien voglia di darti un gran sergozzone”. Morg., XVIII 174. 2: “Ch’io non ti dessi qualche sergozzone”, XXVIII.9: “Chi gli dà certi sergozzoni strani”. Salvini, Disc., II, 187: “Dalle parti che si feriscono col colpo della mano sortirono questi colpi varii nomi, come… dal darsi sor, cioè sopra, il gozzo, sargozzoni e sergozzoni”.

c. 134 - Cilema, v. 203 – Centil. LXXII 63: “Stando i Franceschi senz’arme in cileme”. Pataff. IV 72: “Pur pissi pissi passera mi ciarli / e con ciloma sempre frottolando”. Cilema, ciloma, ed anche il sic. Scialoma, gen. Cialumma, cal. ciroma derivano ugualm. dal lat. basso celeuma, canticum nautorum (dal gr.), v. DEI.

c. 137 – ciuffole, v. 28 – Passavanti, : “Dicono che sono incantatori e in dovini e con lor ciuffole e anfanie ingannano molta gente semplice”. Fra Giordano, I 300: “Non son ciuffole queste parole”. L’etimologia è probabilmente da ciuffo lare, cioè suonare lo zufolo, cfr. ciuffolotto come nome d’uccello, Prati.

c. 138 – frottola, v. 253 – “Da fròtta, «moltitudine; schiera», perché «cantilena di vario metro tessuta d’un gran numero di detti sentenziosi e proverbiali» (Zambaldi)”, Prati.

c. 143 – scomuzzolo, v. 257 – Ercol., p. 91: “Quando i maestri vogliono significare che i fanciulli non se le sono sapute e non ne hanno detto straccio, usano queste voci: “boccata, cappello, pelo, scomuzzolo”. Pataff. I 6: “Io non ho fior, né punto, né calia, / minuzzol né scomuzzolo”. Affine a gomitolo da ghiomo < glŏmus? Si diceva anche sgomuzzolo (Tomm-Bell.). Burch., son. Cicerbitaccio verde e pagonazza, v. 12: «e già ne vidi far mille scomuzzoli».

c. 145 – contegna, stare in – v. 373. La forma femm. esistette nei primi sec. accanto alla masch.; da contineo (cfr. comvegno e convegna da convenio).

c. 147 – Inf. XXXII 97: “Allor lo presi per la cuticagna”. REW 2429-2432. Aggiungi l’umbro (todino rustico) cotozo, collottola, donde cotozare andare inclinando il capo per sonnolenza, dormicchiare, Iac., XLVII 102. Burchiello, son. Appiè dell’universo delle Ampolle, vv. 15-17: «Però nessun s’impacci / di farci cosa che sia cutigna, / che non gli basterebbe unghie alla tigna».

c. 149 – diceffarsi, v. 354 – Probabilm. contrario di (ac)ceffare “afferrar col ceffo, ghermire”. Ceffo dal fr. chief, Prati, DEI. Inf. XXIII 17-18: “Più crudeli / che’l cane a quella lievre ch’egli acceffa”. Cfr. comm. Buti, Dittam. VII 27: “Tra’ quai di Falterona un serpe corre, / che par che il corpo di ciascuno acceffi”.

c. 152 – eto, far – v. 32 – Pataff., I 30. Gli editori del Pataffio affermano che deriva da et latino, cioè lo fanno equivalente a ette. Cfr. le espressioni “un fio, un’acca, uno iota”.

c. 153 – fagnone, v. 49 – fagno o fagnone, “goffo, sempliciotto”, forse dal n. p. Teofanio, DEI. Pat. II 116: “La gatta fagna talora stramazza”. Il REW 3313 lo fa derivare dal prov. fenh, collegato con fingere nel senso di “esser pigro”.

c. 154 – fancel bollato, v. 112 – Fancello: «bamboccio, sciocco», ma anche «servo», donde l’accostam. a bollato. Si bollavano i servi per mancanze, quindi bollato: «già noto a tutti per cattivo soggetto». Pataff. I 5: «Tu se’ fancel marin, garzon bollato».

c. 167 – grimuccia, v. 272 – Bloch – v. Wartburg: fr. grimuche, attestato verso il 1202: poi con sostituz. Del suff. peggiorat. -asse, grimace. Già nel XI sec. Grimutio come soprannome nel lat. med. Da un franco grīma, “maschera”, ricostruibile dall’ant. sass. Grīma, medio neerl. Grime, id. REW 3867 ted. grĭm, “adirato” > prov. grima, grimazo > fr. grimace.

c. 194 – penna, v. 367 – “vetta”, Da mettere in relazione con Appennino. spagn. peña, peñasco, parole derivate da base mediterranea.

c. 195 – pertare, v. 71 – peritare, usato come peritarsi, e in forma volgare > pigritare. Libro CCLXXII 2-4: “Perché novellamente ora bandisco, / sì come udiste, ancora non ardisco, / ch’io non periti ai canti delle strade”.

c. 198 – punzone, v. 45 – “Forte colpo di punta”: lat. punctiare, da pungere, Prati. Tommaseo-Bellini: “Colpo dato con la mano raccolta e le dita strette insieme, o col pugno chiuso in modo da far forza con la nocca in mezzo” . Libro, cc. 7: “E non andare al ponte a dar punzone”. Dec. VII 8: “Ricordandosi che egli l’aveva dati forse mille punzoni per lo viso”. Pataff., I 3: “Punzone, sergozzone e la recchiata”. Morg., XVIII 32, 6: “e da lor si difende co’ punzoni”; XXI 137.6: “Colui che uccise un qua con punzone”. REW 6845, Fiera I IV 6: “Scappellotti e frugoni e punzon dando”. Nov. CLXVIII: “Allora il maestro… lascia andare e dà uno grandissimo punzone a costui”.

c. 211 – rangola, v. 92 – Albertano, cap. 29: «Gli ingannatori sempre sono tormentati da amare rangole»; cap. 34: «Lavorar dunque dei con gran rangola e con diligente opera». Cavalca, SS. Padri, V 14: “rangole e sollecitudini”; XXIII 5: “Commosso dalle angosce e dalle rangole della presente vita”. Varchi, p. 55: «scorrubbiarsi, arrangolarsi, arrovellarsi, farsi romito». Deverb. di rancurare, rancurarsi (Inf. XXV 199: « e su vestito, andando, mi rancuro»; Purg. X 133: «la qual fa del non ver vera rancura»). Da rangola ( e rangolo) anche rangolare, arrangolare.

c. 213 – ratia, v. 103 – “rabbia”, aret. Raitire, tosc. raitare, friul. raità da ragĭtare, REW 7008, Flechia in «Arch. Glott. It», II 380.

c. 216 – rimbroccio, v. 264. Brencio (brincello, brindello, brandello, brendolo, brandone, Caix 76) forma rimbrenciare (aret.), ‘rabberciare’, ma qui ‘afflosciarsi’ (come un brindello di roba, uno straccio).

c. 225 – sciarpellone, v. 51 – DEI: “Tratto dall’it. merid. grancifudduni, grancipulluni, specie di granchio grosso e peloso, granciporro, compos. del lat. cancer ‘granchio’ e fullo –onis, lavandaio, sinonimo di nacua (dal gr. Náke, pelle lanosa, vello), passato ad indicare una specie di granchio peloso”. Cfr. prendere un granchio.

c. 227 – scottobrinzo, v. 127 – Bocc., Comm. Alla Div. Comm., “Ne’ vo’ dir de’ cappuccini, co’ quali a babbuini o a scottobrinzi somiglianti si fanno”. G. Vill., XII 4.3: “E’l cappuccio vestito a modo di sconcobrini col batolo fino alla cintola”. Pataff. IV 57: “Scottobrinzolo”. Morg. XXV 23.4: “Buffoni e scoccobrin fanno moresche”. DEI brincio agg. (XVII sec., Allegri); detto di bocca atteggiata a smorfia prima di piangere; v. tosc.; cfr. march. brencio lazzo, metaur. Brenć, brinc’ agrestino (detto del vino), calabr. gringia smorfia di disgusto o di beffa, che sembrano estratti dal lat. subringere, class. subringi (ringī, mostrare i denti, ‘ringhiare’). Burch., son. Chirallo armato e buon vin di cantina, v. 3: «Gli scottombrin che saltavan peì deschi».

c. 229 – socci, a-, v. 24 – Soccio o soccida o soccita, REW 8056, è un’accomandita di bestiame, che si dà ad altrui che il custodisca e governi a mezzo guadagno e mezza perdita, Minuci, p. 481. […] Proverbi tosc., p. 357: “Morta la vacca, disfatta la soccida”.

c. 230 – smanceria, v. 100 – Da amare, amanza e smanziere, e da questo smanceria, qui non nel senso di «alto, lezioso», ma di «cosa fastidiosa, incresciosa».

c. 233 – spigolistro, v. 286 – Dec. V 10: “Vecchia, picchiapetto spigolistra”. Vale “bacchettone”, forse dall’attaccar cera agli spigoli. Morg. XVIII 112 4: “Vide venir di lungi per ispicchio / un uom che in volto parea tutto fosco”. Salvini, Annotar. Ariann. In ferm. Redi: in Consulti medici, Fir., Manni 1726-29, II, “Spigolistra, che sta nascosta per gli spigoli o cantucci delle chiese”. Fir. Nov. VI 258: Spigolistro non importa altro nella sua significazione, che una sorta di brigate superstiziose… e è come a dir oggi pinzochere». Cavalca, Frutti ling. 113 alquanti spigoli stri e ipocriti, che si fanno profeti ingannano la gente semplice dicendo suoi sogni e visioni false».

c. 234 – squasimodeo, v. 125 – Nov. 145: «… che parea il più nuovo squasimodeo che si vedesse mai». Nov. 192: «Capodoca, assai nuovo squasimodeo». Dec. VIII 5: «Io vi voglio mostrare il più nuovo squasimodeo che voi vedeste mai». Pataff. I: «Squasimodeo, introcque ed a fusone». Ercol.: «Alcuni (sogliono usare) scasimodeo, e chi ancora chiacchi bachiacchi». Beca 23: «Squasimodeo, ch’ella mi par più bella». Fiera III 4.9: «Vedere un dormi, / uno squasimodeo, un qualche uom nuovo». Lasca, Streg. III 1: «Io debbo forse essere quasi scasimodeo, o qualche nuovo pesce». Prontuario: «Probabilmente alterazione popolare di spasimo di Dio».

c. 237 – (i)stozzare, v. 86 – Va con tuzzare, Prati. Stozzare è attestato nel senso di batter (monete), coniare. Il Vasari, IV 567 ha stozzo, come termine degli orefici: “Battuta la piastra d’argento con alcuni stozzi… faceva una materia fra il duro e il tenero”. Qui nel senso più generico di “battere, percuotere”.

c. 239 – sugomera, v. 290. Lo stesso che sicumera, ‘ostentazione contegnosa’. Pataff. II 18: “Deh, non ne far così gran sugumera”. Il Palazzi mette l’indicaz.: dall’ar.

c. 241 – Non sembra probabile l’etimo estirpare, REW 3071, Spitzer, in «Arch. Rom. VIII 251». Morg. XXII 23, “che’l tempo m’ha tarpate in modo l’ale”; XXV 135 “se non che corte abbiàn tarpate l’ale”; XI, 7 “Io vo che’l traditor tarpiàn discosto”.

c. 249 – anfanare, v. 39 – Passavanti: “Interpreti di sogni… più altre cose dicono, anfaneggiando come sono usati”. Passavanti: “Dicono che sono incantatori e indovini e con lor ciuffole e anfanie ingannano molta gente semplice”. Cavalcanti, 276: “Tu farnetichi a santà e anfani a secco”. Varchi, p. 68: “Anfanare è verbo contadino che significa andare a zonzo”. DEI: “Il significato più antico è quello di «vaneggiare, farneticare, spropositare»; mentre l’accezione di «affaccendarsi» sembra dovuta a contaminazione con ‘affannare’”. L’etimo sarebbe il lat. tardo afannare. Prati: Verbo di natura imitativa.

c. 254 – bombare, v. 267: “bevazzare”, da bomba o bombo, “bevanda”, voce infantile, DEI. Pataff. III 39: “ti darà bombar, Ciampugia”. Anche VII 133.

c. 259 – ciccia coderina, v. 131 – Pataff. II 24: “Tu hai lasciato quel desco imbastito / per ciccia coderina in gozzoviglia”. Propriam. “carne di coscia di maiale”.

c. 260 – ciuffo, dar di, v. 214 – Suono espressivo, Prati. Anche ciuffare, ciuffagno, ciuffetto (come nome di uccello e di pianta), ciuffettino, ciuffolo. E cfr. ciuffola.

c. 261 – cucco, v. 230 – Sembra altrimenti documentato nel senso di “uomo sciocco” solo nel sec. XVIII (Bisc., Iag.), Prati, DEI. Qui sarà invece l’uovo (sec. XV) e, per estens. Qualunque cibo sostanzioso. Pataff. VIII 145: “Perché’l granchio mi morse, mangio’l cucco” (“perché ho i crampi allo stomaco, ho fame, ecc.”).

c. 263 – frullo, non dare un, v. 242 – Deverb. di frullare: voce onomatopeica, DEI. Significa: «cosa da nulla».

c. 264 – giaffa, maestro da, v. 77. – Libro, CXIX b 7-8: “E Ciampolon e Meuccio sanza spada / eran con monna Ciola armati a giaffe”. Cal. ciaffari, pigliare. Abr. Acciaffà, prendere con lestezza e mal garbo. March. acciaffà, fare alla peggio, abborracciare [DEI…]. Finamore: ciaffone “acciarpone”. [sardo ciaffu, viso largo; rom. Ciaffo, ceffo, v. espress., sarà da lasciare da parte]. [REW 3948°, giff-giaff, da lasciar da parte, cfr. 4699].

c. 267 – intozzare, v. 85 – Libro dei son., 5: “Per me mai non s’intozza, non t’adirar”. Libro dei son., 44: “Ei si sta intozzato il botol.; vien qua a me: / ti caverò ben io del capo l’izza”. Da aggiungere alle voci che il Prati elenca sotto tuzzare. Vale “divenir tozzo” (cfr. indurire, ingrossare, ecc.), cioè “impuntarsi, ostinarsi, resistere”, e sim. Il Tomm.-Bell. cita da un ms.: “La vite… infiacchisce; dove, tenuta bassa, intozza, rattiene il sugo e ingagliardisce” [Davanzati, Coltivaz. Tosc.].

c. 270 – macco, v. 59 – Macco era una “vivanda grossa di fave sgusciate colte nell’acqua, ammaccate e ridotte in tenera pasta” [Prati]. Pistole di Len.: “Un poco di farinata, o di macco, e dell’acqua da bere”. Morg., III 42 4: “E dà pur broda e macco all’uom ch’è grosso”. Libr. Dei Son., LXXXXIX 5: “Al tuo goffoghiotton darò del macco”. Morg. XXVII 182 1-3: “L’Arcalifo, ribaldo di Baldacco / uccise Ulivier nostro a tradimento, / e prima fe’ della tua gente un macco”. Burch., son. Inanzi che la cupola si chiuda, v. 2: «Certo sarà gran macco di starnoni».

c. 270bis – ammaccare, v. 58 – maccare, «schiacciare, rompere», forse di orig. onomatopeica, DEI, Prati.

c. 281 – buffetto, v. 170 – Il DEI cita il lat. mediev. (1273) “colpo”, e il sic. Buffiari, “schiaffeggiare”.

c. 282 – truffa, v. 87 – Libro, LXIV 380-382: “Ben che tu pai truffa, / già non ti terrà buffa / chi t’intenda”. Cavalca: “Non c’è per niuno modo né tempo, né luogo di stare in buffe e truffe”. […] La derivazione da tufer, “tartufo”, variante italica di tuber, sembra improbabile, dato il significato primitivo di truffa “ciancia”; lo accosterei a trufolare (cfr. intrufolarsi), variante di grufolare, che è attestato dal sec. XIV e deriva, come ruffolare, dal suolo espressivo ruff ruff, ruf, indicante il raschiare (Prati, s. ruffata).

c. 285 – uzzolo, v. 259 – izza (adizzare), guizzo, sizza (aria fredda, pungente) con sizzettina e sizzolina, sono tutte forme imitative. Uzzolo è impossibile venga da urere REW 9081, Salvioni, Revue de dialectologie romane IV 100. Caix 651 lo faceva venire da usurire, ma dubitosamente.

c. 298 – burattare, v. 341 – Per abburattare, «sbatacchiare, malmenare». Nel senso di discutere, ventilare. Caro, Apol.: «Pigliamo la vostra medesima censura: io la buratterò così grossamente, e non se ne faranno vermicelli, mi contenterò che siano gnocchi».

c. 299 – cernecchio, v. 139 - «staccio», «uomo astuto». Pataff. II 28: «Rivela, sbusa, rabbuffa, cernecchia». Prati: aret., bastone attraverso la madia sul quale si dimena lo staccio quando si staccia. Anche cernitoio (Redi). Chian. Cirnicchio (o cinnitoio), «matterello» […].

c. 300 – bruco, v. 277 – Forse esclamaz. con senso affine a quello di (ignudo) bruco, “poverissimo”: “per la miseria!”. Pataff. I 11: “brollo biotto… brullo e caluco… bruco bruco”.

c. 302 – mestare, v. 182 – Fiera III 1.3, “E’ sa quanto egl’importa, / le gotte a’ piedi e un bel barbone almento / e un paio d’occhiali al naso / all’uom che mesta, e fa di sé cimento”. Fiera IV, V 2: “Mi varrò del tempo e dell’occasïoni / per far l’uffizio mio: mesti chi vuole”. Malm. I 45: “Di mi, perché il mestar diletta ognuno, / si pigliano il comando a un dì per uno”. Regn. Stor. V 131: “Tutti questi disegnati per istatichi furono del numero di quei cittadini che avevano più mestato nel passato governo. Altri es. più recenti nel Tomm.-Bell., che dà la definizione: Si dice in modo basso di chi si adopera e si affanna in una o più cose senza discernimento e per la sola smania di fare (Fanf.)”.

c. 303 - cardare, v. 135 – Cfr. pettinare, «mangiare a quattro palmenti». Morg. XXII 42.5: «Ed attendeva pure a pettinare». Morg. XXII 163.7: «E pettina, e sollecita il barlotto». Pataff. IV 65, “Avere il pettine e il cardo è modo pop. per «mangiare e bere assai»: «Tripponi! O questi hanno il pettine e il cardo», in Fagiuoli, Comm., Fir. 1734-1752, IV 22. Nov. Ant. 40: «Messer Giacopino diede della mano nella guastada (del giullare) e disse: Tu il pettinerai altrove (il vino) che non qui».

c. 304 – pettinare, v. 97 - «dir villania, rimproverare aspramente», Stare in pettine: «mostrarsi offeso». Scarminar la lana ad alcuno: «rimproverarlo aspram.».

c. 307 – scarminare la lana, v. 177 – Dec. II 1: “corserò là dove il misero Martellino era senza pettine carminato, ed alle maggiori fatiche del mondo rotta la calca, loro tutto pesto e tutto rotto il trassero dalle mani” […].

c. 314 – centellare, v. 288 – DEI, Centello, da cento, «parte centesimale». Centellare, «bere a piccoli sorsi»; fig.: «spiccicar le sillabe», «lasciarle cadere ad una ad una». Pataff. II 35: «E’ gli vuol rasi, li metti centello».

c. 315 – cesta, nuova, v. 180 – Ercol. […]: cesti e canestri come modo di dire che esprime il dire ora una cosa ora un’altra senza conclus. e senza venire a capo di nulla. Fortig. Ricciard. XII 62: “Ma vo’ tagliar due vermene pulite da frustare ora il cesto ed or la pancia: “busto, corpo (in certi dial. la parte deretana; genov. Paniere). Cfr. “aver o far la testa come un cestone”. Malm. X 7: «Occhio non chiude, e tuttavia mulina / tanto che il capo ell’ha com’un cestone». Lasca, Cen. I 5.302: «Cheto cheto si levò da tavola, avendo fatto un capo come un cestone». Prov. tosc. 365: «Mi fa una testa come un cestone». Proverb. a chi loda se stesso: Lodatevi cesto, ch’avete bel manico; Lòdati, cesto, che’l manico hai bello (Serdon.).

c. 319 – trastullo, v. 241 – Prontuario: trastullare. Forse lat. mediev. 'se transtòllere’ «trastullarsi», con mutam. di coniugaz. Fig. per “persona leggiera da non prender sul serio”.

c. 320 – ciarpa, v. 108 - «roba vile e vecchia», fig. «inezie», francone skerpa, “bisaccia ad armacollo”. REW 7989.

c. 321 – fatappioso, v. 37 – Fatappio nei dialetti è la nottola; in Morg., XIV 54.7, è messo col corvo e la cornacchia. Nov. 69: «e guadagnò co’ fatappi in pochi di ciò ch’egli avea in Lombardia messo di cotto». Fr. d’Ambra, I Bernardi, Fir., Giunto, 1564, III 9: «Ma che fatappio / va qui aggirando?».

c. 323 – affatappiarsi, v. 190 – v. fatappioso, Nov. 109: «Compiuti li sei mesi, il marito tornò di podesteria e come che s’andasse la cosa, affatappiato o aoppiato che fosse, non si ricordò né di questa botte né del vino, se non come mai non fosse stato in quella cosa». Tes. V 24: «Senz’ordine nïun n’hanno cioncato, / tanto che ognuno è mezzo affatappiato». Stef. Marchionn. St. VII 138: «Non volevano ricettare di quelli che sani uscissero dalla casa malato e diceano: Egli è affatappiato, non gli parlare». Il Tomm.-Bell. spiega: «Uomo da fuggire come se affatturato, e come se il male suo fosse effetto di maleficio».

c. 329 – ghegghie, aver la ferza alle, v. 281 – Ghego «albanese», viene nei dial. a significare «storto». Ghegghie potrebbero essere le «gambe», cfr. l’etimo di quest’ultima parola e di anca. Quindi: «aver la sferza ai calcagni, correre, scappare».

c. 331 – sgangherarsi, v. 297 – “uscir dei gangheri” o “far uscir dei gangheri”.

c. 332 – lezare, v. 175 – Malm, XI 23: “Questo cenciaccio allezza”; Pataff. II 35: “Grignaccola, pericol. Sempre lezza”. Racc. Sen. Lezzare: Riuscire molesto con piagnucolii e malcontento. Lézo: Persona inquieta e borbottona, specialm. detto di bambini. Lézzo: cattivo umore: oggi ho il lezo addosso.

c. 334 – pisciarla, v. 312 – Pataff. I 3: Pisciata l’ha, «l’ha indovinata».

c. 336 – ricco, v. 118 – Dal contesto sembrerebbe trasferito al senso di «stupido».

c. 340 – tafanare, v. 40 - […] Guadagnoli: È ver che cercai molto e tufanai / dal giogo alpino alla brandusia punta. Guadagnoli: Ho girato, ho cercato, ho tafanato. Tommaseo-Bellini: “Punzecchiare”. Gherardini: Qui nel senso di “ronzare, essere insistente” (come le mosche?).

c. 342 – bacocco, v. 208 – bachiocco, baciocco e con metat. Bacoccio; adattam. Tosc. dell’emil. bacioc, da bad(ŭ)lus, nel senso di “uomo sciocco” (DEI). Prati: baciocco da baccello + -occo di sciocco. Bachiocco corrisponderebbe all’emil. baciòch, di etimo sconosciuto. Bacocco, secondo il DEI, è variante di bacoccio, metat. di baciocco. Il Tomm.-Bell. porta anche bacoccone e bacoccaccio, senza esempi.

c. 344 – batossa, v. 374 – batt(ere) + percossa o batosta + percossa, bat(t)ostare non sembra da tusitare, come vorrebbe il Caix 191, cfr. REW 996. Il DEI lo dà come metat. del prov. tabustar, ant. fr. tabuster. Tambussare, REW 8512a, verrebbe da tamburro + bussare. Pr. Tabust, tabustar, fr. a. tabuster, it. trambusto, sono poco chiari; REW 8512a.

c. 345 – Begolare o bergolare: “cianciare”. Bergolo: “leggero, cervellino, sconsigliato”. Pucci, Cent. XXIX 84. Pataff. VIII 143: “Che le son belle bègole, colui!”. Angiolieri, son.: “Dante Alighier, s’io son buon begolardo” […]. Dec. IV 2: “Sì come colei che viniziana era, ed essi son tutti bergoli”. Dec. VI 4: “Chichibio il quale, come nuovo bergolo era, così pareva”. Nov. 67: “Fugli detto come era figliuolo d’un uomo di corte, chiamato o Bergamino o Bergolino. Disse messer Valore: - E’ m’ha sì ben bergolinato, che io non ho potuto dir parola, che non m’abbia rimbeccato” […]. Bizzibegolo, v. 238 – Su bizz(arro) + begolo, “irascibile e leggiero, sconsigliato”. Inf. VIII 62: “E il fiorentino, spirito bizzarro”; Dec. I 6: “E per bizzarria gli comandò che quello che più gli piacesse facesse”. Dec. IX 7: “Una giovane… bella tra tutte l’altre... ma sopra ogni altra bizzarra, spiacevole e ritrosa”. Dec. IX 8: “Uom grande… sdegnoso, iracondo e bizzarro più che altro”.

c. 346 – cacchericento, stare in, v. 237 – Su chiacchiere + cento con influsso di cacchero, da cacca. Il Prati, s. cacca, registra: Càccole «(ant.) cispa (Libro cura mal.); sudiciume nella lana delle pecore (D’Alberti di Villanuova, Diz. Univers., Lucca, 1797-1805); sudiciume del naso; sciocchezze (Audin)… càccaro (lucch.) caccola». DEI: “cacherello (cacarello) XIV sec.: stereo a pallottoline, di topi, pecore, capre”. DEI: cacheria: leziosaggine, fisima; da ‘cacare’. Pataff. I “Io mi vo chiacchillando e non fo eto”. Malm. I 56: “E strologato e chiacchierato un pezzo”. Caro, Lett. in. II 34: “Sono entrato in questa chiacchieria, perché non ho che scrivervi”; Fra Giord.: chiacchieramento.

c. 347 – calia, v. 99 – Ant. mil. Cadia «caduta»; concr. Calia minutissime particelle che si staccano dall’oro e dall’argento nel lavorarlo; fig. CCC 8: «persona abbietta, di nessun valore». Qui col valore etimologico di cadiva, «epilessia» dell’ant. genov., dal lat tardo gutta cadiva (Marcello Empirico); lomb. Alp. Mal cadì, «mal caduco», a. fr. goutte chaïve. In calia, secondo il Prati, entrò calare; anche Voci; pp. 62-63.

c. 348 – celloria, v. 223 – cella + memoria, Nov. 72: “E molte altre cose simili che tutte veniano dalla sua profonda celloria”. Burch., son., Innanzi che la cupola si chiuda, v. 5: «E van così colla celloria nuda».

c. 351 – cicchillera, v. 291 – Il Pataff. ha chicchirbera, femm. (II, 18) nel senso di “beffa, burla”; anche chicchirio, nello stesso senso. Sono tutte voci fanciullesche, Prati. Anche DEI rimanda per chicchirlera a chicchirillo –illo, chicchirio. Qui forse entra anche cica, “cosa da nulla, baia” o cicalare, Ercol., p. 52.

c. 353 – collottola, v. 254 – collo + cicottola, DEI. Cicolottola a sua volta da un cotta + occiput. Il Prati lo mette semplicem. sotto collo.

c. 354 – fandoria, v. 225 – fantasia + baldoria? Fandonia con fandone e fandonare, secondo il Prati, sono del sec. XVII.

c. 355 – galloria, v. 226 – DEI: “da ‘gallo’ accostato a ‘gloria’. Anche gallo, gioia, allegria, deverb. di gallare. Gallare, ‘stare a galla’; fig. ‘insuperbire’; denom. da galla, ‘cosa leggera’. Il Prati lo accosta a ringalluzzirsi. Dec. IV 2: “Ella rimase facendo sì gran galloria”. Pat. III 46: «ché sete in galloria». Purg. IX 127: “Di che l’animo vostro in alto galla?”. Caix, 488. Lo accosta all’a. a. t. gulisôn, ‘essere oltremodo allegro’; ma il senso non corrisponde.

c. 356 – imberciare, v. 217 – Fiera I, IV 7: “O fitta un’asta in terra, e in punta ad essa / Una palla di piombo, o segno tale, / Gareggiar con lo stioppo a chi lo’mbercia, / Meglio”, Salvini, Annotaz. sopra la Fiera: “Imberciare, dal Franzese pércer… trapassare, penetrare; onde perceil bersaglio. A uno che nel giuoco non dà nel segno, e prende degli sbagli, diciamo Sbercia”. Burch., son. Parmi veder pur Dedalo che muova, vv. 12-14: «Non è gran lode a buon imberciatore/ a pigliar le farfalle col balestro, / s’ei non dà lor nella punta del cuore».

c. 357 – molticcio, v. 151 – Libro, CCXXI 4: “… per mettere in molticcio trenta frati”. Nov. CCX: “Col canto delle botte e de’ ranocchi si levarono ed uscirono dal molticcio”. Da malta, REW 5271 + molliccio. L’Audin, cit. dal Prati, ha malticcio, «ouvrage de mortier. Item platrois, materiaux, milon».

c. 358 – ruggiolone, v. 47 – Morg., XXI 134.6: “Morto l’avrebbe con due ruggioloni”. Può essere collegato con guiggiola, incrociato con raggio, cfr. pesca. Morg. XVIII 32, 7-8: “E pesche senza nocciolo appiccava, / che si ritrasse ognun che n’assaggiava”; Ciriff. Calv. III 104 “Ma dava col baston pesche duràcine, / che non gli elmi avrian rotte le macine”; Cecchi, Prov. 53: “Se / la fosse stata mia moglie alle due / parole sue io le avrei fatto nascere / una voglia di pesca in sur un occhio”; Mogl. IV 3: “Il povero corpo ha una pesca sì fatta sur un occhio”; Tancia, II 4: “So ch’egli ha avuto la pesca nel muso”. Nespola: Morg., VI 38: “E appiccògli una nespola acerba, / tanto che tutto pel colpo traballa”; Ciriff. Calv., II 47: “Poi prese con due mani il bastonaccio, / per dare a Folco una nespola secca”. Franc. Malignett. Etrur. II 151: “Quel colpo veggendo, e quella nespola aspettare non volendo… si chinò”. Barcocchiare, da barcocca, “albicocca”, irp. ‘(n)cotogna’, abr. cutigna da cotogna. Dar le frutta: Morg., XVIII […]: “Ma mio costume all’oste è dar le frutte / sempre al partir, / quando’l conto facciamo”; Morg. XIX 107.1-8: “Non parve tempo a rubare a Margutte, / che non gli desse Morgante le frutte”; Ciriff. Calv. III 94: “Per dar le frutte al padre avanti cena, / un colpo trasse col brando a schiancìo”. Libro, CCIII, 1-3: “Abate mio, tempo mi par che sia, / che chi non vuol bonaccia abbia tempesta / che chi non vuol bonaccia / e chi vuol delle frutte abbia la cesta”. Libro CCLXXV, 10: “Chi ha di queste frutte, quando torna? / Non quando chi le dà se ne confessa”. Libro, CCXCVII, cc. 9-10: “Se ciaschedun signor desse le frutte / a chi le va cercando, come voi…”. Fiera I III 9: “e le piaghe vada mostrando dell’archibusate, / che siano o more o coccole ammaccate”.

c. 359 – battisfancello, v. 143 – fancello, “balordo, sciocco”, cfr. nov. 206: “che mi credi trattare per fancella”. Battista, dal n. pr.: “scioccone”, DEI.

c. 360 – gualercio, v. 219 – gua(ta) – lercio = guarda storto, DEI. Fra Giord., Pred. 42: “L’uomo, avendo male nell’occhio, talora sarà detto guercio, talora gualercio, talora avocolo, talora cieco”. Gualerchio, Libro CCCVI b 7: “sì ch’ogni corpo ne divien gualerchio”. Caix 504 ricorda sbilercio, ‘taglio fatto nelle carni dai macellai’ < bis + bercio.

c. 364 – canideo, v. 122 – Certamente da cane; nulla a che fare con canidia, «strega», di origine oraziana. Per la terminazione, cfr. Forse originariamente una bestemmia?

c. 368 – arpa, allungare l’, v. 107 – Deverb. di arpare, «afferrare, arraffare», a fr. harper, dal francone harpōn. Quindi: «allungar gli artigli, graffiare», fig.

c. 369 – babbo, esser col babbo e colla mamma, vv. 200-201 – “Essere un babbèo”; con la mamma è amplificaz. scherzosa. Pataff. II 60: Trittuelle conialla babbo e mamma. Burchiello, son. Un gioco d’aliossi in un mortito, v. 4, «E un babbion che rifiutò lo’nvito».

c. 371 – borlume, v. 293 – Deformaz. Di barlume secondo borlare, burlare ‘andar giù’.

c. 373 – tromba da vico, vv. 270-271 – Tromba (da vino): cannello che si introduce nei fiaschi quando si travasa il vino in altro fiasco (qui nella barca del bevitore) […].

c. 375 – fascio fascio, vv. 362-363 – a fascio, “senz’ordine, in scompiglio, confusamente”. La ripetiz. vorrà dire: “in fretta e furia”.

c. 381 – zacchi, andar di zacchi in bacchi, v. 265-266 – Zaccola e zacchera dal long. Zahhar, REW 9593 e Gamillscheg, Rom. germ. II 171-2, ma secondo il Salvioni (R. I. L. XLIX 1066) da una base ‘cromofonica’ (così riferisce il Prati). Qui modificato per rimare con bacchi, opp. forma originaria dalla stessa base zacch-zacch? Il senso è: “andar balzelloni”.

c. 382 – bacchi, v. 266 – REW 9118, Baccare da vadicare. Bacco sarebbe deverb. Abbaccare un fosso (pist. “accavalciarlo”). Abbaccare (lucch.), “fare un salto”.

Nomi

Franco Sacchetti
Cecchi
Varchi
Davanzati
Tacito
Salvioni
Caro
Pucci
Bellincioni
Pico Luzi
Prati
Boccaccio
Berni
Firenzuola
Caix
Clemente Merlo
Burchiello
Tommaseo-Bellini
Salvini
Zambaldi
Bloch
Albertano
Cavalca
Giovanni Villani
Minuci
Manni
Lasca
Spitzer
Passavanti
Cavalcanti
Serdonati
Guadagnoli
Pucci
D’Alberti di Villanuova
Audin
Fra Giordano
Salvini

Luoghi

monte Morello
Prato
Stibbio
Pisa
Lucca

Ordinamento

Le carte sono state numerate a lapis da 1 a 383.

Scheda a cura di

Caterina Canneti

Revisione a cura di

Elisabetta Benucci