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Scheda di archivio


Collocazione


Livello di descrizione

U. D. Manoscritto

Autore

Franca Brambilla Ageno

Titolo (incipit)

Appunti, lezioni su Manzoni, Nievo, Rovani, Collodi (cc. 149-154)

Data Iniziale

ante 1968

Data Finale

1968

Consistenza

6 cc.

Contenuto

Si descrivono qui di seguito alcune carte relative all’utilizzazione delle fonti letterarie nell’ambito di Manzoni a confronto con altri autori (Nievo, Rovani, Collodi, cc. 149-154):

"Manzoni, Prom. Sp. – Utilizzazione funzionale delle fonti
«Tra il primo pensiero d’una impresa terribile, e l’esecuzione di essa (ha detto un barbaro che non era privo d’ingegno) l’intervallo è un sogno, pieno di fantasmi e di paure. Lucia era, da molte ore, nell’angosce d’un tal sogno» (cap. VII). La citazione è da una delle grandi scene shakespeariane, il soliloquio di Bruto prima dell’uccisione di Cesare, prima scena del secondo atto. Viene dunque riferita a Lucia, tratta da un capolavoro tragico, e da uno dei passi più alti e ricchi di tensione di questo capolavoro, «l’esperienza confusa ma implacabile di “un sogno, pieno di fantasmi e di paure”: che è poi un modo acutissimo, se si accetta fino in fondo il gioco della ironia manzoniana, di dissacrare attraverso una contadina l’immagine tragica di Bruto, eroe originario di quel “sogno”, e insieme di estendere a ogni essere umano, indipendentemente dal suo ruolo pubblico, il dramma della coscienza, l’istinto dell’oscura dignità umana» (E. Raimondi, “Il romanzo senza idillio. Saggio sui ‘Promessi Sposi’”, Torino, Einaudi, 1974, pp. 54-55).

Nievo e Rovani
Il racconto dei tumulti di Portogruaro, nel capitolo X delle “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo, presenta fittissime reminiscenze dei “Promessi Sposi”. Ma lungi dal condividere il pessimismo cristiano del Manzoni, il Nievo crede nella possibilità di attuare la giustizia in questo mondo; anzi la vita umana, è detto nel secondo e nell’ultimo capitolo del romanzo, è un “ministero di giustizia” (si ricordi invece come le parole poste in bocca a Renzo nel capitolo III dei ‘Promessi Sposi’: “A questo mondo c’è giustizia, finalmente!” vengono commentate dal Manzoni: “Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica”). Così lo scacco del tumulto di Portogruaro non è, come l’episodio manzoniano dei tumulti di Milano, un exemplum di quanto capita inevitabilmente all’uomo quando crede di poter conseguire la giustizia con le sue sole forze; il suo significato è invece tutto storico. L’episodio è appena un anello di quella catena costituita dalle “sorti progressive” che l’autore invoca fin dalla prima pagina del romanzo. Profondamente diverso ancora l’episodio dell’eccidio del Prima narrato nei “Cento anni” di Giuseppe Rovani, che fa esplicito riferimento ai “Promessi Sposi”: per il Rovani infatti la storia si configura come aggregato, “marché aux puces”, direbbe Eugenio Montale, non come dialettica evoluzione (A. Di Benedetto, “Stile e linguaggio”, Roma, Bonacci, 1974, p. 294).

Collodi, 1883
V’è un passo di “Pinocchio” che è trasposizione di uno dei “Promessi Sposi” (G. Nencioni, “Agnizioni di lettura”, in «Strumenti critici», 1967, pp. 191-198). Siamo nel capitolo primo, al punto in cui il maestro Ciliegia, dato il primo colpo d’ascia al famoso pezzo di legno da catasta, sente la misteriosa vocina: “Girò gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno. Guardò sotto il banco, e nessuno; guardò nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; aprì l’uscio di bottega per dare un’occhiata anche sulla strada, e nessuno!”. Una ricerca di questo tipo, a gradatio eliminatoria, fa don Abbondio vedendo i bravi che gli si avviano incontro: “Domandò subito in fretta a se stesso se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un’occhiata, al disopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra più modesta sulla strada dinanzi: nessuno, fuorché i bravi”. Come si vede, il largo avvio della sequenza manzoniana e il suo affrettarsi verso l’impasse inevitabile vengono dal Collodi abbreviati e ridotti, con la riproduzione del ritmo, goduto come stilema. Più avanti l’andamento ritmico è riprodotto a frequenza più alta: “Aspettò due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla”. Il passaggio da una lettura unicontestuale ad una, anche a tratti, bicontestuale, porta con sé il confronto tra i valori dei due contesti, il paragone estimativo delle due sincronie, e inoltre apre fra di esse uno iato diacronico, colmabile con una storia di “temi” e “motivi”, e spesso anche sollecita, per la parte formale, l’incrocio di una dimensione sistematica, quindi statica, con una dimensione generativa. Il riferimento manzoniano mette in grado l’analista di Pinocchio di passare da un modello meramente strutturale ad un modello trasformazionale, in cui il brano dei Promessi Sposi costituisce la figura stilematica sottostante, ed una o più regole di trasformazione, deducibile dal confronto dei due testi, rendono ragione dello stilema terminale. Questi incontri-riconoscimenti, che avvengono nella lettura, e che potrebbero essere chiamati, con termine scenico, “agnizioni”, permettono una conoscenza più profonda del testo: permettono di ricollocare il testo dentro la tradizione a cui esso appartiene . Perché un testo, per quanto ricco di originalità, è sempre dentro una “tradizione”. Veramente questa parola è insieme confusa e passiva: confusa, perché può indicare tanto una singola isóstila quanto un fascio o un’intera trama di isóstile; passiva, perché punta piuttosto sull’aspetto ricettivo e quindi retrospettivo, che su quello irradiante, e quindi prospettivo del fenomeno. Si hanno infatti, nello stile come nella lingua, fatti a struttura inerte e fatti a struttura inquieta, attiva. Per esempio, la paraipotassi (cioè la ripresa con “e” della preposizione principale, dopo una secondaria con “quando”, o dopo un gerundio, ecc.) ha ceduto all’affermarsi durevole di una struttura del periodo più consequenziaria per l’influenza esercitata da scrittori di rigoroso impianto periodico. I retori, i volgarizzatori, gli umanisti hanno diffuso il gusto del periodo latineggiante, con verbo in fine, che più recentemente (dal sec. XVIII in poi) ha lasciato il campo a strutture di stampo neolatino. Nella sintassi contemporanea è in corso un deciso rotare della gerarchizzazione ipotattica verso l’enunciato nominale, come prova il contrarsi dell’uso del congiuntivo e il rilassarsi del rapporto di dipendenza: e in questo hanno indubbiamente parte i prosatori contemporanei. Il sonetto “inventato” dal Notaio e l’ottava narrativa del Boccaccio hanno avuto una secolare profondità, mentre scarsamente produttive sono state la terzina dantesca e la metrica barbara (questa, anzi, e direi fortunatamente, è riuscita del tutto sterile). Da quando è stato ammesso che anche i valori connotativi, oltre ai denotativi, sono invarianti, ed è stato avanzato il concetto di una langue poetica, e per conseguenza, di una grammatica della poesia, una fenomenologia stilistica, comunque descritta, non farà più difficoltà di principio. La gradatio eliminatoria del Manzoni era un fatto attivo. Impostata sopra un sistema bifocale a due proposizioni coordinate, di cui la seconda costituisce la risposta (negativa) alla prima e perciò stesso attrae su di sé la spinta ritmica e semantica, tale gradatio convertiva, nel progresso dell’iterazione, la seconda proposizione da sindetica (coordinata) espositiva in asindetica interiettiva (esclamativa), concorrendo alla maggiore intensità anche l’abbreviazione. Siamo fuori del parallelismo e dell’iterazione tradizionali, fondati sul bilanciamento o sull’accumulazione dei termini, per lo più risolventi il crescendo o il diminuendo in termini di scalatura semantica. Qui si hanno effetti dinamici attraverso il contrasto di strutture ottenuto col ricorso a mezzi del parlato; e fu certamente il deciso volgersi a tali mezzi che fornì esca e lievito ad uno scrittore istintivamente orientato nella stessa direzione come il Collodi."

Nomi

Manzoni
Nievo
Rovani
Collodi
Cesare
Lucia
Bruto
E. Raimondi
A. Di Benedetto
G. Nencioni
don Abbondio
Boccaccio

Luoghi

Torino
Milano
Roma

Ordinamento

Le carte sono state numerate a lapis.

Scheda a cura di

Caterina Canneti

Revisione a cura di

Elisabetta Benucci