U. D. Manoscritto
Franca Brambilla Ageno
Appunti, lezione su Giuseppe De Robertis (cc. 215-218)
ante 1968
1968
4 cc.
Si descrivono qui di seguito alcune carte a proposito di Giuseppe De Robertis e della sua critica (cc. 215-218).
"Il lavoro critico di Giuseppe De Robertis (Adelia Noferi, “Le poetiche critiche novecentesche”, Firenze, Le Monnier, 1970, pp. 3-39) rappresenta probabilmente uno dei fatti culturali che intorno alla metà di questo secolo hanno inciso più profondamente sull’esperienza letteraria italiana. Uno degli aspetti più appariscenti del suo lavoro è senza dubbio quello di aver operato, su un terreno chiuso e sostanzialmente indifferente, la saldatura tra cultura universitario-scientifica e critica militante, tra critica dei classici e critica dei contemporanei. Non si tratta qui di un’equiparazione esteriore dei campi d’indagine, ma di riconoscimento della perenne disponibilità della poesia e del suo inserimento nella vita attuale della cultura. Fare storia per De Robertis non è soltanto collocare la poesia e la letteratura in una serie cronologica o ambientale, ma anche e soprattutto districare certi valori della poesia e della letteratura da quella collocazione per immetterli in una durata e in una permanenza che giunga a permeare e vivificare il presente. L’ammonimento di De Robertis a leggere gli antichi con l’occhio dei moderni, la necessità che sentiva di questa lettura non astratta, ma storicamente situata nel proprio tempo erano volti non ad una fruizione personale ed edonistica della poesia, ma allo sforzo di sottrarre all’incertezza e al divenire delle cose certi valori permanenti, aperti ed attivi; che fossero anzi tutto sensibili, avvertibili come rispondenti alle esigenze presenti, e subito dopo misurabili, decifrabili oggettivamente. Il drammatico nodo presente in questo atteggiamento, la difficoltà da superare è comprensibile quale forse: il “fatto” poetico non può manifestarsi, per De Robertis, se rimane convoluto nella soggettività dell’artista, del suo mondo sentimentale o ideale o intenzionale (e neppure se razionalmente compresso entro una formula creata dalla mente del critico), se non si distacca, insomma, dalla matrice soggettiva per proporsi come realtà autonoma, per «parlare da solo». Ma per cogliere e valutare l’arte come “oggetto” occorre saper ascoltare e riconoscere quella voce con una partecipazione piena, e a operare questo si sa bene quanto soccorra il gusto l’intuizione, la sensibilità: che sono tutte cose soggettive. Il De Robertis lavorò a rendere sempre più assottigliati e sparenti quegli strumenti soggettivi, affiancandoli con lo strumento “empirico” della lettura paziente, delle analisi minute, della ricerca dei “fatti”, per impostare su una base oggettiva quella “adesione piena” ai testi attraverso la quale il testo stesso, nella sua pienezza di oggetto, può essere riconosciuto. La realtà oggettiva della poesia fu dunque il centro del suo lavoro critico, ma anche il luogo dove l’equilibrio era più difficile e minacciato, tanto che la sua critica poté essere accusata da una parte di misticismo irrazionalista e dall’altra di pedanteria formalista. Proprio alla luce di questa realtà poetica oggettiva va intesa la lunga polemica con Croce, continuamente affiorante nella sua opera, nonostante il debito che il De Robertis, come tutta la cultura italiana del Novecento aveva verso Croce. Nell’affermazione crociana dell’autonomia dell’arte, nel suo stesso concetto di liricità si annidava il pericolo di una soggettivazione e intellettualizzazione del processo critico, dell’aprirsi di uno iato fra arte e critica che, mentre sfiorava da un lato la intraducibilità e ineffabilità dell’unità inscindibile di intuizione-espressione, dall’altro si accostava alla poesia dall’esterno e dall’alto (reperimento del “sentimento ispiratore”, centro ideale entro cui far rifluire la personalità del poeta) senza agganci con la realtà oggettiva sulla pagina dell’opera. Nel momento stesso in cui De Robertis pareva accettare, di fatto, il valore del concetto crociano di “lirismo”, attraverso la sua depurazione da ogni elemento estraneo, contenutistico, oratorio, psicologico; in quel momento stesso egli poneva delle esigenze diverse, insoddisfatto com’era della incomprensione del filosofo per la nuova poesia (incomprensione che non era un episodio marginale, ma il segno di un atteggiamento spirituale e mentale), conscio della necessità di accostarsi più da vicino alla sostanza del fatto artistico, dando la loro parte alle questioni tecniche, di riannodare, nella “comprensione” del critico, i legami di necessità e storicità che uniscono la poesia alla non poesia, e persino di ricollocare all’interno stesso del processo artistico quel momento meditativo, critico (il “lavoro” del poeta), che si inserisce, spezzandone l’unità imprendibile e astratta, nella identità di “intuizione-espressione”. Il “lirismo” crociano, secondo De Robertis, è “un modo di essere, non la sostanza dell’arte”. La direzione della ricerca di De Robertis è quindi volta ad individuare e valutare la “sostanza” dell’arte, non soltanto il suo “modo di essere”, chiude le vie a quelle linee di forze centrifughe che dall’”oggetto” artistico tendono a sfuggire verso il soggetto che l’ha prodotto (ragioni ideali, spirituali, psicologiche, ambientali, storiche) o verso il soggetto che l’accoglie, che ne fruisce (impressionismo incontrollato da una parte ideologizzazione e problematicità dall’altra). La polemica derobertisiana si svolge perciò fin da principio su due fronti: quello della critica psicologista e dei contenuti “illustrativi”, e quello della critica “problematica” tendente a stabilire uno schema ideologico e a questo ridurre e con questo misurare il fatto artistico, evadendo dalla precisa risposta a questo fatto per rifugiarsi nelle questioni generali preformate. Concentrata l’attenzione sul “fatto espressivo”, il luogo della ricerca diviene il testo, la poesia realizzata nello stile. “Stile” è una parola quasi emblematica nella critica del De Robertis. Critica dello stile significò riconoscere l’oggetto artistico in quello che lo può costituire come tale, distinguendolo da ciò che arte non è, nella concretezza perciò degli stilemi, ma anche nel loro valore lirico, nella loro capacità di costituire un organismo vivente: «…stile. Che vuol dire aspirazione a una superiore unità, a un centro lirico scoperto che assoggetti ogni sentimento o espressione alla sua legge»."
Giuseppe De Robertis
Adelia Noferi
Benedetto Croce
Firenze
Le carte sono state numerate a lapis.
Caterina Canneti
Elisabetta Benucci