Unità documentaria
Franca Brambilla Ageno
Appunti sulle fonti sacchettiane (cc.1-20)
1990
Fogli sciolti, appunti
20 cc.
Le 20 carte qui considerate contengono appunti vari riguardo agli studi di Franca Brambilla Ageno sulle fonti del Sacchetti. Come si nota, si tratta di opere di carattere popolare e di leggende che spesso, se non il tramite letterario, non hanno avuto una grande diffusione o sono conosciute se connesse alle tradizioni. Scrive Adolfo Mussafia (in “Sulla leggenda del legno della croce”, Vienna, Tipografia di Corte e di Stato, 1870, p. 166):
"Queste tradizioni, ed altre per avventura che se ne potessero rintracciare, sembrano non aver ottenuto grande favore; non penetrarono nella vita del popolo, e la letteratura medievale non ne serba che lievi tracce. Divulgatissima all’incontro è quella versione della leggenda, che la congiugne ad altra tradizione antica, e del pari molto propagata."
Qui di seguito se ne dà una descrizione:
cc. 1-2 – Elenco di opere e riferimenti bibliografici da cui probabilmente Franca Ageno ha tratto informazione per ricerche sulle fonti del Sacchetti.
cc. 3-5 – Appunti sulle Gesta Romanorum. Si legga, a questo proposito, una nota (tratta dal sito http://www1.unipa.it/lendi/fabelwesen/bibliografia/fonti/gesta_romanorum.htm):
"Si tratta di una raccolta di aneddoti e racconti compilata tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV. I singoli capitoli sono corredati di una moralizzazione. E’ stata una delle opere più popolari del suo tempo. Attribuita a Helinandus o a Petrus Berchorius (Pierre Bercheure), non si conosce neanche il paese dove è stata composta, Inghilterra, Francia o Germania. La struttura dell’opera ne ha favorito interpolazioni e modifiche. Oesterley distingue tra i codici inglesi (sempre in latino), quelli tedeschi (in latino ma anche in volgare) e un gruppo a stampa. Le prime edizioni sono quelle di Ketelaer e de Lecompt a Utrecht, Arnold Ter Hoenen a Colonia, e Ulrich Zell a Colonia. Una traduzione in inglese basata sul MS. Harl. 5369 è stata pubblicata da Wynkyn de Worde about 1510-1515."
In particolare, si legge in queste carte che Franca Ageno abbia individuato una prima edizione di questo testo nel 1472 e una seconda edizione nello stesso decennio, ma non se ne identifica l’anno. Nel 1489, si identifica un’edizione tedesca, stampata ad Augsburg. Anche la stessa Ageno specifica, per quest’opera, tre famiglie, una di tradizione inglese, una di redazione tedesca e un’altra francese. Si pensa che ci siano state alcune opere estranee ai Gesta che vi abbiano influito, quali :
1. Liber de moralizationibus o De moralitatibus o Moralitates di Robert Holkott.
2. Moralisationen über Seneca’s declamationen.
3. Aenigmata Aristotelis.
4. Imagines Fulgentii.
Nello specifico, si riportano gli appunti di Franca Ageno:
“I mss. dei Gesta si possono dividere in due famiglie secondo che vi hanno o no influito le Moralizationes di Robert Holkott. Altre tre famiglie sono riconoscibili a seconda dell’influenza delle Moralizationes di Seneca. Inoltre hanno influito sulla raccolta la Historia VII sapientum, il De naturis rerum di Alexander Neckam, le Narrationes di Otto da Ceritona […] sulla redazione inglese, brani di Gervasius Tilberiensis sul Vülgartext”.
Si leggano ancora gli appunti della Ageno, alla c. 3bis:
“L’autore, secondo un erudito del 1600 (Solomon Glassius, Philologiae sacrae libri quinque, composto nel 1623, stampato ad Amsterdam nel 1711, p. 200) sarebbe Berchorius, priore benedettino di St. Eloi, m. nel 1362; ma l’ipotesi è priva di fondamento. L’attribuzione a Helimand che sarebbe nel dial. 64 e nel 68 del Dialogus creatura rum è da intendere diversamente, perché là si designa col titolo Gesta Romanorum una cronaca di Elimando appunto, secondo un uso assai frequente. Sul tempo della composizione nulla dicono le fonti accertate utilizzate via via dai diversi copisti, quasi sempre anche rimanipola tori del testo, che non si presenta mai identico in due mss. Ma la divisione dei testimoni in tre famiglie, e il fatto che alcuni di questi testimoni in tre famiglie, e il fatto che alcuni di questi testimoni risalgono alla metà del sec. XIV riporterebbe la composizione alla fine del sec. XIII o al principio del XIV. Infatti passi da Gesta sono contenuti in un cod. di Wolfen-büttel, Gud. 200, che è del 1326, e presentano già corruzioni significative. L’opera sarebbe nata dalla moralizzazione sistematica di una raccolta denigrata come Gesta Romana o Romanorum, comprendente racconti tratti dagli storici romani tardi e in cui non si sa se fossero penetrati già originariamente racconti d’altra provenienza. Il paese d’origine è inglese”.
c. 5 – Appunti sui Carmina burana. Si legga la definizione di Franco Bruno Averardi nell’Enciclopedia italiana Treccani, 1930 (http://www.treccani.it/enciclopedia/carmina-burana_%28Enciclopedia-Italiana%29/):
BURANA, CARMINA. - Così viene indicata una raccolta di canti (Lieder) composti da chierici girovaghi, i cosiddetti goliardi (v.) o clerici vagantes, del XII e del XIII secolo. La maggior parte di essi è in lingua latina; ma ve ne sono non pochi in tedesco, e altri in cui le due lingue si alternano e s'intrecciano. Il manoscritto di questa raccolta, che ora si trova a Monaco di Baviera, venne scoperto nell'abbazia di Benediktbeuren (di qui il nome suo). Queste poesie sono composte, generalmente, in ritmi moderni con rime finali come gl'inni liturgici. Il loro contenuto e il loro carattere è assai vario: alcune sono di indole dottrinale, religiosa, polemica; altre cantano scene sacre; altre infine inneggiano con accento schiettamente popolare all'amore, al vino, alla natura. Tra queste ultime - che rivelano l'influsso di una preesistente poesia popolare e che anzi, probabilmente, furono in parte desunte da essa - alcune hanno accento rozzo, gioviale, plebeo, altre sono soffuse di religiosa e ingenua dolcezza; e questi sono appunto i due aspetti della lirica e dell'anima popolare.
Si leggano gli appunti di Franca Brambilla Ageno:
“Carmina burana I BD., 14, 3-5, per il motivo dell’instabilità della Fortuna svolto con intento didattico-morale e con riferimenti a personaggi e fatti della storia classica (Rime, 175 ed.)
Motivo della Fortuna svolto come invettiva per le disgrazie personali, ib., 16-18. Cfr. anche Elegia di Arrigo da Settimello”.
c. 6 – Appunti di Franca Ageno sulle fonti sacchettiane. Dapprima si legge un elenco di opere dalle quali si pensa che il Sacchetti possa aver tratto la materia dei suoi scritti (“Disciplina clericalis; Fiore di Virtù ed. G. Bottari 1740; Cronaca del Villani; Tesoro ?; Giamboni, Della mis dell’uomo; Albertano”). Segue una riflessione della stessa Ageno:
“Se leggiamo l’elenco delle opere che il Sacchetti avrebbe conosciute nell’introduzione all’indice del [data non riportata], restiamo stupiti e perplessi. Come mai così poco di una tale cultura è rimasto nelle opere dello scrittore? Non dico poco nel senso che manchino i riferimenti espliciti o impliciti ai libri letti, ma poco nel senso della maturità e consapevolezza dei giudizi, della formazione mentale, perfino della tecnica artistica”.
cc. 7-10 – Appunti sulla Leggenda della Vera Croce come fonti per le sacchettiane Sposizioni di Vangeli.
Si riporta la trama di quest’ultima (tratta da http://www.informarezzo.com/permalink/18725.html):
E' la leggenda che racconta la storia del legno sul quale venne crocifisso Cristo, spesso tramandata in letteratura e rappresentata in opere d'arte.
La leggenda ha inizio con Adamo che, prossimo a morire, mandò il figlio Seth in Paradiso per ottenere l'olio della misericordia come viatico di morte serena. L'Arcangelo Michele, invece, gli diede un ramoscello dell'albero della vita per collocarlo nella bocca di Adamo al momento della sua sepoltura (o tre semi secondo un'altra versione). Il ramo crebbe e l'albero venne ritrovato da re Salomone che, durante la costruzione del Tempio di Gerusalemme, ordinò che l'albero venisse abbattuto ed utilizzato. Gli operai non riuscirono però a trovare una collocazione, perché era sempre o troppo lungo o troppo corto, e quando lo si tagliava a misura giusta in realtà diveniva troppo corto, tanto da non poter essere utilizzato. Gli operai decisero così di gettarlo su un fiume, perché servisse da passerella. La regina di Saba, trovandosi a passare per il ponte, riconobbe il legno e profetizzò il futuro utilizzo della tavola. Salomone, messo al corrente della profezia, decise di farlo sotterrare. Quando Cristo fu condannato, la vecchia trave venne ritrovata dagli israeliti ed utilizzata per la costruzione della Croce. A questo punto la leggenda inizia a confondersi con la storia. Nel 312, la notte prima della battaglia contro Massenzio, l'imperatore Costantino I ha la mitica visione che porrà fine, anche, alle persecuzioni dei cristiani: una croce luminosa con la scritta "In hoc signo vinces". L'imperatore decide allora di utilizzare la croce come insegna e il suo esercito vinse la battaglia di Ponte Milvio.
Costantino decise così di inviare la madre Elena a Gerusalemme per cercare la Croce della Crocefissione. Elena trovò una persona che conosceva il punto di sepoltura della Vera Croce. Per costringerlo a parlare, lo fece calare in un pozzo, senza pane ed acqua, per sette giorni. Convinse così il reticente a rivelare il luogo della sepoltura. Elena poté, in questo modo, rinvenire le tre diverse croci utilizzate il giorno della morte di Cristo. Per identificare quella sulla quale era morto Gesù, Sant'Elena sfiorò con il legno un defunto e questi resuscitò. Sant'Elena separò la croce in diverse parti di cui la principale venne lasciata a Gerusalemme.
All'inizio del VII secolo l'Impero bizantino visse una profonda crisi e subì attacchi da diversi fronti, in particolare dall'Impero persiano per opera del re Cosroe II. Nel 614 il re Cosroe II, dopo tre settimane di lungo assedio, riuscì ad espugnare Gerusalemme e a trafugare tutti i tesori e le reliquie a Ctesifonte. L'imperatore bizantino Eraclio raccolte tutte le forze decise di partire personalmente alla guida del suo esercito per sconfiggere i persiani e recuperare la Vera Croce. La guerra con i persiani durò diversi anni e solo nel 628 Eraclio sconfisse, decapitò Cosroe II ed ottenne la restituzione della Croce che venne riportata dallo stesso Eraclio (scalzo e vestito da pellegrino) a Gerusalemme il 21 marzo 630 tra l'esultanza del popolo.
Le carte 7-9 riportano trascrizioni, in tedesco e in latino, dal testo di W. Meyer, “Die Geschichte des Kreuzholzes vor Christus, Abhandlungen der Wissenschaften”, XVI Bd, II Abth., München, 1882, pp. 101-66. Si leggano alcuni riferimenti significativi:
“I pp. 106-12. Historia: Leggenda nella forma più antica, dove non si parla ancora di Adamo e Seth (in una versione si parla brevemente della sepultura di Adamo e dell’apparizione di un angelo «nucleum vetiti ligni ori eius imponens. Igitur de prefato nucleo crevit arbor…»).
II pp. 112-5. Narrazione rimata di Goffredo da Viterbo […].
III pp. 115-7. Johannes Beleth, Rationale divino rum officio rum (1170 c.) […].
IV pp. 117-23. Gervasius von Telbury, Otia imperialia, 1212, e opere volgari […]. Forma meno evoluta, senza viaggio di Seth al Paradiso […].
V pp. 123 sgg. La leggenda in Iacopo da Varagine.
[…]
pp. 130-49 Pubblica per intero la leggenda latina pubbl. parzialm. dal Mussafia, con una vers. provenz.”
La carta 10 riporta una citazione bibliografica da un testo di Adolfo Mussafia, (“Sulla leggenda del legno della croce”, Vienna, Tipografia di Corte e di Stato, 1870). Si legge anche: “Alla p. 173 parla della versione seguita dal Sacchetti in Sposizioni, XLII”. Se ne riportano alcuni passi significativi:
p. 173:
[…] Adamo è già morto; la regina tace ed appena dopo rimpatriata fa sapere il vaticinio a Salomone. Questi, acceccato dal Signore, non fa ardere il legno che minacciava rovina ai suoi, ma lo sotterra. Dicasi lo stesso di Franco Sacchetti (XIV secolo) nel suo 42° sermone. Salomone fa sotterrare il legno più di sedici braccia sottoterra. Le vene dall’acqua cominciano a pullulare e a pignere su il legno e la terra, tanto che se ne fece un lago, la probatica piscina. Ne fu poi fatta la croce, e non si seppe mai di vero che legno questo fosse, come chi dice d’olivo e chi d’una cosa e chi d’un’altra.
p. 176:
Nei racconti fin qui ricordati è detto di raro a quale specie appartenga l’albero da cui più tardi fu fatta la croce. Il Sacchetti nomina l’olivo, ma soggiunge altri d’essere d’opinione diversa […].
cc. 11-13 – Trascrizioni da “La leggenda d’Adamo ed Eva. Testo inedito del secolo XIV [pubbl. da A. D’Ancona]”, Bologna, Romagnoli, 1870, Scelta di curiosità letterarie, Disp. CVI; riprodotta da G. Battelli, “Le più belle leggende cristiane tratte da codici e da antiche stampe”, Milano, Hoepli, 1924, pp. 91-101.
c. 14 – Foglietto con appunto su alcune edizioni contenenti al Leggenda del legno della Croce.
cc. 16-17 – Trascrizioni dalle Sposizioni di Vangeli di Franco Sacchetti (42, 6-14; 46, 15; 49, 21-25).
cc. 17-19 – Incipit della versione di Iacopo da Varagine.
c. 20 – Trascrizione dal cod. Mgl. II II 15, cc. 40 r-v (Troiano domanda a sechondo filosafo).
Franca Brambilla Ageno
Franco Sacchetti
Adolfo Mussafia
Helinandus
Petrus Berchorius (Pierre Bercheure)
Oesterley
Ketelaer
de Lecompt
Arnold Ter Hoenen
Ulrich Zell
Robert Holkott
Seneca
Alexander Neckam
Otto da Ceritona
Gervasius
Solomon Glassius
Berchorius
Franco Bruno Averardi
Arrigo da Settimello
Villani
Giamboni
Albertano
Massenzio
Costantino
Elena
Gesù
Cosroe II
Eraclio
W. Meyer
Adamo
Seth
Goffredo da Viterbo
Johannes Beleth
Gervasius von Telbury
Iacopo da Varagine
Salomone
G. Battelli
Vienna
Inghilterra
Francia
Germania
Utrecht
Colonia
Augsburg
Amsterdam
St. Eloi
Benediktbeuren
Gerusalemme
Ctesifonte
München
Bologna
Milano
Le carte sono numerate a lapis da 1 a 20.
Caterina Canneti
Elisabetta Benucci