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SottoFascicolo

Titolo

Busta con intestazione: "Parad I-IV" - note linguistiche sulla Commedia

Data Iniziale

1935

Data Finale

1995

Consistenza

115 cc.

Contenuto

La busta, con intestazione: “Parad. I-IV”, contiene 115 carte di appunti autografi riguardo ai primi quattro canti del Paradiso e ad altri canti della Commedia dantesca. Si tratta di note linguistiche e appunti su molti passi danteschi. Sappiamo, infatti, che Franca Ageno ha pubblicato vari studi o commenti linguistici riguardanti la lingua di Dante e della Commedia, in particolare sull’aspetto e il tempo del verbo. Qui di seguito si dà la descrizione di alcune carte significative:
Parad. I

c. 3

[…] 1,7 . appressando sé al suo disire: il verbo appressare, dalla locuzione avverbiale ad pressum […], compare come transitivo anche altrove: «per appressarne le parole sue» (Inf., 28, 129); ma è pure intransitivo: «quando al cinquecentesimo anno appressa» (Inf., 24, 108); otisire è un provenzalismo, che qui vale, non ‘desiderio’, ma ‘oggetto del desiderio’.

c. 4

8 . nostro intelletto si profonda tanto: profondare risulta usato intransitivamente in scritture popolareggianti tarde: «elle furono cinque città che profondaro» (Pucci, Libro, 7,4); «la mercatantia si guasta o la nave profonda o rompe» (Sacch, Sposiz., 4, 12); è regolarmente transitivo qui (con oggetto costituito dal pronome riflessivo) e altrove: «Andate in profondo, o male cupiditati, ché io voglio innanzi profondare voi che voi profondiate me» (Fiore d’Italia, 3).

c. 7
Arringo è parola d’origine germanica, di grande diffusione al tempo di Dante. Indicava così il luogo dove si teneva l’assemblea del popolo (cfr. il verbo arringare col suo deverbale arringa e il derivato arengario), sia il campo dove si facevano tornei e giostre. Qui il significato letterale sarà il secondo; il significato metaforico sarà quello di ‘prova’. Di solito s’interpreta: “l’aringo o spazio rimasto da percorrere è la materia dell’ultima cantica” (Mattalia); ma con tale interpretazione contrasta.
Rimaso è la forma più antica del participio passato di rimanere (direttamente da remansu), mentre la forma rimasto è rifatta sui participi in –to come posto: quindi neppure in questo verso vi sono forme poetiche.

cc. 13-14
[…] 33 . quando alcun di sé asseta: assetare in senso proprio, ‘dar sete a’, ‘rendere assetato’, non compare nella Divina Commedia, neppure nel canto dei golosi (Purg., 23), mentre qui troviamo, appunto in senso proprio, l’unico esempio di affamare: «Già era in ammirar che sì li affama» (v. 37). Il verbo assetare è usato da Dante parecchie volte sempre nell’identica sede del verso, cioè in rima, e sempre con senso traslato. Tre volte, con questa, è unito a un complemento di limitazione: «l’anima mia gustava di quel cibo / che, saziando di sé, di sé s’asseta» (Purg., 31, 128-129); «d’altro non ci asseta» (Parad., 3, 72); altrove è unito a un complemento che dirà modale: «e che m’asseta / di dolce desiar» (Parad., 15, 65-66); e altrove è usato assolutamente: «la superbia ch’asseta» (Parad., 19, 121: il complemento oggetto è taciuto).


c. 15
34 . poca favilla gran fiamma seconda: già il latino classico aveva secundare nel senso di ‘favorire’, ‘assecondare’. Il senso nella DC è invece quello di ‘venir come secondo’, ‘seguire’, cfr.: «al novo cenno / che’l maestro con l’occhio sì seconda» (Inf., 16, 116-117); «Ma perché, sappi chi sì ti seconda / contra i Sanesi…» (Inf., 29, 133-134); «null’altra pianta che facesse fronda / o indurasse vi puote aver vita, / però ch’a le percosse non seconda» (Purg., 1, 103-105); «Tremaci quando alcuna anima monda / sentesi, sì che surga o che si mova / per salir su; e tal grido seconda» (Purg., 21, 58-60), «Come discente ch’a dottor seconda» (Parad., 25, 64); «da la prim’ora a quella che seconda, / come’l sol muta quadra, l’ora sesta» (Parad., 26, 141-142); «Quinci si può veder come si fonda / l’esser beato ne l’alto che vede, / non in quel ch’ama, che poscia seconda» (Parad., 28, 109-111).

c. 16

35-36 . con miglior voci / si pregherà perché Cirra risponda: secondo l’interpretazione corrente e, al solito, contenutistica, cioè si ferma sull’atteggiamento di Dante, questi, con un forse «orgogliosamente equivoco» (Mattalia), direbbe che un altro poeta ‘canterà con miglior voce’ di lui stesso la medesima materia. Ora, Dante usa il verbo pregare, il cui significato non può essere quello di ‘cantare’. Il Toffanin (citato dal Mattalia) intende la preghiera di Dante «sarà secondata dalla preghiera degli stessi beati e di quanti partecipano la speranza, di cui essa è messaggera; sarà secondata dalla preghiera di Beatrice». Anche tale interpretazione è insostenibile, perché non dà esatto conto dell’espressione diretro a me, che può avere soltanto valore temporale. Non resta che dare a voci il senso antico di ‘voti’, ‘suffragi’ (cfr. Tommaseo e Bellini, sotto voce, §§ 21-22, e aggiungi Iacopone: «Se non li dai la voce, / porràtte ne la croce», tale qual è, vv. 23-24), e intendere: ‘si pregherà con voti più accetti al dio della poesia’.

cc. 17-18

48 . non li s’affisse: ‘non si affisse, non fissò lo sguardo in esso’: affissarsi o affisarsi, nella DC, vale ‘fermarsi’ e dove non è usato assolutamente (Purg., 13, 33; 33, 106 anche 17,77, dove ‘eravamo affissi’ vale ‘ci eravamo affissi’) o unito a un complemento predicativo («fermo s’affisse», Purg., 30, 7), si trova accompagnato da un’indicazione di luogo: «Poco più oltre il Centauro s’affisse / sovr’una gente…» (Inf., 12, 115-116); «nel campo di Siena, / ogni vergogna diposta, s’affisse» (Purg., 11, 134-135); «tacito coram me ciascun s’affisse» (Parad., 25, 26). Però nel senso di ‘fissar gli occhi su’, si ha un complemento indiretto: «così al viso mio s’affisar quelle / anime fortunate» (Purg., 2, 73-74). Cfr. anche il v. 54, dove si ha figgere col complemento indiretto, 64-66, dove figgere è, invece, costruito con in.

Parad. II

c. 40

6 . perdendo me rimarreste smarriti: periodo ipotetico con protasi implicita gerundiale; in rimarrete smarriti il participio funziona da aggettivo; il senso non è proprio quello di ‘vi smarrireste’, ma quello di ‘rimarreste indietro, smarriti’.

cc. 43-44

16-18 . Que’ gloriosi che passaro a Colco / non s’ammiraron come voi farete, / quando Iagon vide fatto bifolco: passaro è forma più antica di s’ammiraron (che ha il –no del presente); ma quest’ultima forma potrebbe essere stata introdotta durante la trasmissione manoscritta del poema; s’ammiraron poi è l’ammirare nel senso di ‘meravigliarsi’ usato anche in I, 98 e 136; ma ha la forma riflessiva che assumono per lo più i verba affectum, cfr. disperarsi, dolersi, pentirsi, stupirsi, che risalgono a verbi latini attivi; ed anche lamentarsi, che non risale ad un me lamento per il classico lamentor, ma proprio al lat. Della decadenza lamento; farete è un caso di fare vicario.

c. 46

43-44 . tenem(o): è la forma più antica, normale in fiorentino (da tenemus); non si è ancora insinuata nell’indicativo della seconda classe la desinenza del congiuntivo della prima, -iamo.

c. 49

60 . credo che fanno i corpi rari e densi: credere con l’indicativo è frequente nella prima persona singolare, cfr. Brambilla Ageno, Il verbo, pp. 327-333 […].

61-62 . vedrai sommerso / nel falso il creder tuo: ‘vedrai che il tuo credere è sommerso nelle acque dell’errore’, cioè ‘che ciò che credi è falso’; oppure: ‘vedrai che ciò che credi verrà sommerso, annullato dall’apparire della sua falsità’. Il confronto col v. 84 renderebbe preferibile la seconda interpretazione.

c. 53

80-81 . per trasparere / lo lume: causale implicita, notevole perché l’infinito preposizionale ha un suo soggetto; cfr. 1, 29; trasparere è più vicino al latino con non trasparire.

c. 54

83 . s’elli avvien ch’io l’altro cassi: elli avvien è forma impersonale (cfr. franc. il arrive); cassare (lat. Tardo, dall’agg. cassus, ‘vano, vuoto, privo’) vale ‘render vano, rendere senza effetto, cancellare’.

84 . falsificato fia lo tuo parere: falsificare ha il senso di non ‘rendere falso’ ma di ‘dimostrare falso’: entrambi i sensi divergono da quello che è in Inf., 30, 41 e 30, 44 (il significato odierno hanno invece falseggiare in Parad., 19, 119 e falsare in Inf, 29, 137; 30, 73 e 115).

85 . […] che questo raro non trapassi: trapassare ‘passare da parte a parte’ può essere transitivo o, come qui intransitivo. Nel primo caso l’apparente oggetto è un complemento di moto attra. luogo).

c. 55

86 . esser conviene in termine: non si deve veder qui, come si fa di solito, una costruzione con accusativo e infinito, alla latina, ma una costruzione personale di convenire, per cui cfr. v. 70.

Parad. III

c. 69

3 . provando e riprovando: il prefisso re- ha qui il senso di negazione, non di ripetizione; oggi si usa riprovare nel significato di ‘disapprovare’, che è un’estensione del significato tecnico antico, ‘provar falso, confutare’.

5-6 . tanto quanto si convenne / levai il capo… più erto: di verbi come convenire, occorrere, bisognare, esser necessario usiamo solitamente l’imperfetto; qui il passato remoto limita nel tempo il compiersi del gesto: ‘levai il capo, finché ebbi preso la posizione opportuna per parlare’: si indica cioè la fine dell’azione di levare il capo.

c. 71

7-8 . ma visïone apparve, che ritenne / a sé me tanto stretto per vedersi: nella proposizione dipendente, in riferimento al soggetto della principale, useremmo il riflessivo, ma il pronome personale, avendo l’infinito un altro soggetto: ‘ritenne me tanto stretto a sé, per vederla’; anzi, siccome sentiamo istintivamente come soggetto dell’azione indicata dalla forma indefinita del verbo il soggetto della sua sovraordinata (qui visïone), non useremmo neppure l’infinito preposizionale, ma faremmo una proposizione esplicita: ‘perché io la vedessi’.

9 . che di mia confession non mi sovvenne: il verbo sovvenire, ora ricercato, ha due significati nella lingua antica: ‘venire in mente’ e ‘venire in aiuto’; in entrambi i significati è impersonale: di mia confession si può considerare un complemento di specificazione oggettiva.

c. 75

28 . rivolve è forma latineggiante; le forme volgo, volgi, volge, create per analogia con colgo, sulla fase della corrispondenza di colsi e volsi, non compaiono in rima nella Commedia; ma ciò significherebbe poco, perché non vi compaiono nemmeno volvi, volve; volvo è difficile da trovare.

c. 80

63 . sì che raffigurar m’è più latino: in toscano raffigurare non ha mai significato se non ‘riconoscere’; rappresentare con figura si dice figurare; quanto a latino, il suo significato di ‘facile’ viene dal fatto che latino si usava in unione a lingua per indicare i volgari di qua da le Alpi, in opposizione a quelli stranieri, incomprensibili o meno comprensibili. Cfr. Conv., 2, 3, 1: «A più latinamente vedere la sentenza litterale…»; e in Conv., 1, 11, 14 lo latino romano si contrappone a la gramatica greca come la lingua in uso a Roma a quella grammaticalmente elaborata dei Greci.

c. 87

100 . si vegghi: nella maggior parte della Toscana gl (vigilo subisce la sincope di i intertonico) è passato a ll e si è quindi fuso con l’esito di li (filiu, ecc.), cfr. vegliare, striglia […], teglia (tegula); si incontra però anche l’esito gg: vegghiare, stregghia, tegghia. E cfr. Figline Valdarno (Figulinae), che fino al XVI sec. fu Figghine.

c. 91

112 . ciò… di sé intende: intendere a, intrans., vale ‘attendere a’, intendere trans., senz’altro complemento, vale ‘comprendere’, ‘udire’; intendere trans., accompagnato da un altro complem. con la preposiz. di, vale ‘riferire (qcosa) a’, ‘pensare (qualcosa) di’.

c. 92

125 . poi che la perse: la forma forte in –si sta accanto alla forma debole in –ei, -esti, -ette, -è o –éo, ma solo nella prima e terza persona singolare, anzi, in Dante solo nella terza, e solo due volte in rima, qui e Parad., 8, 126. Il passato remoto invece del trapassato, forse in rapporto con la lentezza del vanire, o forse latinismo.

Parad. IV

c. 96

23 . tornarsi: forma riflessiva di verbo intransitivo; nonostante che in latino tornare sia transitivo, e quindi nel tardo latino regolarmente riflessivo nel senso di voltarsi, cfr. Brambilla Ageno, Il verbo, pp. 79-80.

c. 97

56-57 . esser puote / con intenzion da non esser derisa: si potrebbe avere anche l’infinito attivo: intenzione da non deridere, cioè ‘intenzione non da riso’. L’uso di da davanti all’infinito, che è un nome verbale, deriva certo dall’uso davanti ad un sostantivo, con senso modale o di relazione (faccia da schiaffi, carta da lettere, via da, vestito di cappa, Inf, 24, 31).

58-60 . S’elli intende tornare a queste ruote / l’onor…: altro accusativo con l’infinito. Il passo contiene una metafora continuata; percuotere è forse un rideterminato perquotere passato a percuotere per influenza dell’elemento labiale Ų.

c. 100

66 . porìa: il Parodi (Lingua e Letteratura, p. 274 in n.) esclude che si tratti di forma francese, per la ragione che «apparisce in troppi testi toscani ed umbri». Ma non dice di dove provenga; forse è rifatto su vorria, saria, e sulla serie appunto in –arìa.

c. 103

91-93 . in altro passo / …tal, che per te stesso / non [n’]usciresti, pria saresti lasso: notevole la sintassi del passo, appare modificata, per ragioni affettive, come in altri moduli, la natura e la posizione di una secondaria. La costruzione regolare, razionale, sarebbe: «*… tale, che saresti lasso prima che tu ne uscissi»; ma l’ordine viene invertito, la proposizione che contiene l’idea dell’impossibilità di uscirne è anticipata e prende il posto della sua sovraordinata la quale le viene semplicemente giustapposta allo stesso modo e tempo.

c. 104

95 . ch’alma beata non poria mentire: l’indicativo negativo di potere servirebbe a esprimere una semplice constatazione, a indicare l’esistenza di un’impossibilità di fatto, in circostanze reali e precise: come se chi parla affermasse implicitamente che le anime beate hanno o hanno avuto occasione di esser messe alla prova. Il condizionale sposta l’angolo visuale dal quale il parlante guarda alle cose: equivale all’ipotesi implicita di un’occasione che, nel tempo stesso che viene ipotizzata, è dichiarata impossibile. In altre parole, il discorso si trasferisce alla sfera della potenzialità, si allontana dal piano della realtà oggettiva.

100-102 . […] che far non si convenne: il passato remoto è gnomico, e si estende al verbo della relativa, che, data la sua natura (durativa) dovrebbe avere l’imperfetto oppure il condizionale composto: quasi che la convenienza sia considerata limitata a quell’occasione e a quel momento.

c. 106

121-122 . non è l’affezion mia sì profonda / che basti…: modulo sintattico di principale negativa + consecutiva (al congiuntivo), che equivale come significato all’altro di concessiva (al congiuntivo) + principale negativa: «per quanto l’affezione mia sia profonda, non basta…».

Inf. XIX

cc. 109-110

28 . il fiammeggiar de le cose unte: le più antiche attestazioni del verbo sembrano appunto in Dante, che lo adopera come intransitivo: «lo sol che dietro fiammeggiava raggio» (Purg., 3, 16); «di sopra fiammeggiare il bello arnese» (Purg., 29, 52); «quinci vien l’allegrezza ond’io fiammeggio» (Parad., 21, 88); e più spesso usa l’infinito come sostantivo: «Quell’altro fiammeggiare esce del tuo riso di Grazian» (Parad., 10, 103-104); «così nel fiammeggiar del fulgor santo» (Parad., 18, 25); «sì come il fiammeggiar ti manifesta» (Parad., 21, 69); ma anche: «vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro / d’Isidoro, di Beda e di Riccardo». In Parad., 5, 1: «S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore», ti deve essere complemento indiretto: ‘fiammeggio a te’, ‘risplendo come fiamma dinanzi a te’; e analogo dev’essere il pronome reciproco nell’espressione: «Poi che’l tripudio e l’altra festa grande / sì del cantare e sì del fiammeggiarsi / luce con luce gaudïose e blande / insieme a punto e a voler quetarsi…». In Dante, Purg., 9, 101, compare pure l’aggettivo fiammeggiante, applicato a porfido. Gli esempi successivi sono del Petrarca: «Già fiammeggiava l’amorosa stella» (33,1); «Non vidi mai dopo notturna pioggia / gir per l’aere sereno stelle erranti, / e fiammeggiar fra la rugiada e’l gelo, / ch’i’ non avesse i begli occhi davanti» (127, 57-60); «né dopo pioggia vidi’l celeste arco / per l’aere in color’ tanti varïarsi, / in quanti fiammeggiando trasformarsi, / nel dì ch’io presi l’amoroso incarco, / quel viso…» (144, 3-7), e non offrono nulla di particolare.

Nomi

Franca Ageno
Dante
Pucci
Mattalia
Cirra
Toffanin
Beatrice
Tommaseo
Bellini
Iacopone
Parodi

Luoghi

Siena
Toscana
Figline Valdarno

Ordinamento

Le carte sono state numerate a lapis da 1 a 115.

Scheda a cura di

Caterina Canneti

Revisione a cura di

Elisabetta Benucci