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Scheda di archivio


Collocazione


Livello di descrizione

U. D. Manoscritto

Autore

Franca Brambilla Ageno

Titolo (incipit)

Questioni linguistiche relative alle Laudi

Data Iniziale

1943

Data Finale

1984

Consistenza

2 cc.

Contenuto

All’interno del faldone contenente bozze di stampa e appunti sulle Laudi iacoponiche, si trovano due carte sciolte relative ad alcuni fenomeni linguistici specifici che Franca Ageno ha commentato in questo modo (cc. 238-239):

Promiscuamente, ne’ testi medievali, ‘it’ e’ ch’ (c’): ‘coctare’, ‘coitar’ e ‘cochar’; ‘directura’ e ‘drechura’; ‘dicta’, ‘dita’ (‘diita, dîta’) e ‘dicha’; ‘dictare’, ‘ditar’ e ‘dica’; ‘facta’, ‘faita’ e ‘facha’; ‘perfecta’, ‘prefeita’ e ‘perfiecha’, ecc. Oggi pure ‘it’ e ‘ch’, secondo i dialetti; a settentrione dà ‘it’ l’Alvernia e ch il Limosino; a mezzogiorno ‘it’ il territorio dell’Ariège e dell’Aude, e ch il Languedoc e la Provenza. Sono risoluzioni però non proprie solo del provenzale, ché spettano in comune a tutta, o quasi, l’Europa celtoromana; e vanno tra i fatti che meglio abilitino a collegare, in bella continuità storica, le riduzioni celtoromane all’antico sistema fonetico dei Celti. Nella bocca di questi già ‘ct’, del prisco loro linguaggio, per l’aspirazione di ‘c’ sarebbesi fatto ‘xt’; per cui, accogliendo ‘factum’, ‘facta’ del latino, avrebbero essi pronunciato ‘faxtum’, ‘faxta’. Da ‘xt’, come ci mostra la congenere elaborazione compitasi in dialetti celtici rimasti vivi (Irlanda, Galles), si sarebbe svolto ‘jt’, ‘it’: così ‘fait’, ‘faite’ del francese, ‘fait’, ‘faita’ di una parte del provenzale e di altre favelle affini. Ma qui non s’arresta l’evoluzione del nesso: la ‘t’ di ‘jt’ non rimane schietta dentale; ‘j’ la assimila a sé, la palatinizza, la riduce ‘tj’, che vuol dire ‘c’’. Perciò ‘faito’, ‘faita’, che condurrà chiudendosi il dittongo, a ‘hechi’, ‘hecha’ dello spagnuolo, oppure ‘fac’’, ‘fac’a’, l’altro esito provenzale, ove tutto il gruppo ‘jtj’ si fonde in ‘c’’… Ne’ nostri dialetti galloitalici abbiamo pur la seconda rivoluzione; accanto a ‘fait’ piemontese, ‘fac’’ lombardo.

Non è ben chiaro per qual processo siensi venuti trasmutando ce, ci de’ proparossitoni come ‘placitu’, ‘dicitis’, ‘facitis’, ‘dicere’, ‘facere’, ecc. Il provenz., quasi completamente d’accordo col francese, dà: ‘plait’, ‘faitz’, ‘dire’, ‘faire’ e dovrebbe darci ‘ditz’, ma usò semplicemente ‘dizetz’. La spiegazione più probabile è che, già dal latino volgare fattesi ‘ge’, ‘gi’, per questi casi, le formole ‘ce’, ‘ci’, sia rapidamente continuata l’evoluzione a ‘je’, ‘ji’, al pari che da ‘ge’, ‘gi’ originari, nel latino volgare stesso, in modo che si riuscisse a tipi come ‘plajitu’, ‘digiti’, ‘fajitis’, ‘dijere’, ‘fajere’, onde poi, cadendo la postonica e vocalizzandosi ‘j’: ‘plait[u]’; ‘diit[i]s’, ‘dits’, ‘ditz’; ‘fait[i]s’, ‘faits’, ‘faitz’; ‘diire’, ‘dire’; ‘faire’. Press’a poco il processo, per cui, più tardi, s’ebbe da ‘precare’, ‘pregar’, ‘prejar’. Sull’esempio di ‘faire’, ‘faitz’, s’ebbe, quindi, in risposta a ‘facit’, ‘fai’, e così per influenza di ‘dire’, ‘di’ (‘dii’, ‘di’), presso ‘ditz’, ‘dicit’. Da attrazione analogica di ‘faire’ dipendono ‘plaire’, ‘placere’ e simili altre forme. Accanto a ‘plaire’ rimase il più legittimo ‘plazér’, ‘placére’; e quindi, per la 3 ps. Sg. Pres. Ind., ‘plai’ e ‘platz’, ‘placet’.

Nomi

Franca Ageno

Luoghi

Alvernia
Limosino
Ariège
Aude
Languedoc
Provenza
Irlanda
Galles

Ordinamento

Le carte sono state numerate a lapis.

Scheda a cura di

Caterina Canneti

Revisione a cura di

Elisabetta Benucci